L'editoriale
Il Paese affonda, Conte fa ammuina: se vuole le riforme le discuta in Aula
La situazione è drammatica. Il Pil è in caduta libera, i consumi pure, gli investimenti neanche a parlarne. Deficit alle stelle così come il debito. Il Paese è sull’orlo del baratro e della rivolta sociale. E di fronte a tutto questo che fa il presidente del Consiglio Conte? Comunica che convocherà gli Stati generali dell’Economia, per ascoltare le idee e le proposte delle parti sociali e delle menti più brillanti. Ottimo intendimento. Ma è davvero il momento di fare queste ammuine, di convocare 20, 30, 40, 50 interlocutori nella Sala verde di Palazzo Chigi per sentire le loro grida di dolore? Abbiamo bisogno di effettività, di riforme, di concretezza, abbiamo bisogno del Parlamento, di coesione politica, quella invocata più volte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Abbiamo bisogno di un patto economico e sociale come richiesto dal governatore della Banca d’Italia Visco; abbiamo bisogno di una visione comune, come indicato in un suo recente intervento dal leader del Pd Zingaretti e come, sempre sul Corriere della Sera, ha detto due giorni dopo, con altrettanta determinazione e chiarezza, il presidente Berlusconi. Di fronte a tutte queste richieste, grida d’allarme sul dramma che sta vivendo il nostro Paese, il presidente Conte risponde con una conferenza. Diciamocela tra di noi: se gli Stati generali fossero una cosa seria ci vorrebbero due o tre mesi per organizzarli, ma se aspettiamo 2 o 3 mesi le imprese italiane sono già morte. Se invece sarà una riunione così, organizzata all’impronta, non servirà certamente a niente. Se non a fare confusione e perdere tempo.
Venga in Parlamento, il presidente Conte, a dire cosa vuol fare e a cercare la coesione e la convergenza sul Piano Nazionale delle Riforme, sulla legge di Bilancio da anticipare entro l’estate, sui nuovi decreti, sui disegni di legge delega per le riforme, sui collegati alla Legge di bilancio. E venga in Parlamento a chiedere un altro discostamento, che il centrodestra sarà prontissimo a votare, se coinvolto nella visione comune sul futuro del Paese. Ma “a gratis”, come si dice, non ci sarà nessun voto favorevole del centrodestra su un terzo discostamento. Abbiamo già dato appoggio a due discostamenti votandoli, e il secondo con voti determinanti al Senato, in cambio di niente.
E poi Conte chiarisca una volta per tutte cosa vuol fare del Mes, del fondo Salva-Stati, di questi 37 miliardi, che sono gli unici, al pari delle risorse della Banca Europea per gli Investimenti, disponibili da subito.
Relativamente ai primi tre pilastri, il Mes ha una dotazione pari al 2,0% del Pil dell’Eurozona; mentre sono pari a 100 miliardi le disponibilità per il Sure e 200 miliardi la dotazione complessiva per la Bei. Per l’Italia, le risorse potenzialmente a disposizione sono pari, dunque, a quasi 100 miliardi euro: 37 miliardi dal Mes, 20 miliardi dal Sure e circa 35-40 miliardi dalla Bei. I fondi del Mes sono dei prestiti da utilizzare esclusivamente per spese sanitarie dirette e indirette, quelli del Sure sono anch’essi dei prestiti da utilizzare per le politiche di salvaguardia occupazionale, quelli della Bei prestiti per la modernizzazione delle imprese. Come noto, lo strumento che più ha destato polemiche è il Mes, il famoso fondo “Salva-Stati”, già utilizzato per risolvere la crisi greca e cipriota, che tanto ha allarmato la componente sovranista di maggioranza e opposizione. Lo strumento è visto, infatti, come un cavallo di Troia per far entrare la Troika (Ue, Bce e Fmi) in Italia, per assumere il controllo della nostra economia e delle nostre imprese attraverso il paradigma ricattatorio “soldi in cambio di commissariamento”, anche se utilizzato nella forma “light” stabilita dall’ultimo Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo.
A noi sembra che ci sia stata una interpretazione molto ideologica del Mes, sia da parte dei sovranisti che l’hanno avversato, sia da parte (anche se non nella stessa misura) degli europeisti che l’hanno invocato, senza prima aver visto i dettagli. La domanda che vogliamo porci, una volta per tutte, è la seguente: a prescindere dalle visioni ideologiche, il Mes, a livello meramente finanziario, conviene? Per dare una risposta definitiva a questa domanda bisogna considerare due variabili: il costo dell’operazione e la velocità nell’avere a disposizione i fondi. In ogni caso, la comparazione deve essere fatta con l’opzione alternativa, ovvero quella dell’indebitamento “autoctono”, da parte del nostro Governo, sul mercato dei titoli di Stato. Il prestito Mes dovrebbe quindi essere paragonato con l’operazione di emissione di un Btp di durata analoga. Innanzitutto, una constatazione. Il prestito Mes è a costo zero. Come reso noto dal Mes stesso, infatti (per questo si legga la pubblicazione Out of the Box: A new ESM for a new crisis, fatta dal Mes stesso sul suo sito), il rating elevato (AAA) permette all’istituzione di indebitarsi a 10 anni ad un rendimento pari al -0,05%. Per venire incontro alle esigenze della crisi, il board del Mes ha, inoltre, deciso di tagliare le commissioni up front, dallo 0,5% allo 0,25%. Il tasso d’interesse marginale è anch’esso stato ridotto dal precedente 0,35% all’attuale 0,1%.
Quindi, facciamo due conti sul retro di una busta. Se l’Italia chiede un prestito di 10 anni, i costi totali del Mes si aggireranno intorno allo zero. Se la richiesta è per un prestito di 7 anni, allora il costo totale del finanziamento, incluse le fees, è negativo, pari a circa -0,15%. Un tasso negativo significa che all’Italia sarà restituito parte del denaro preso a prestito. È come se il Mes pagasse all’Italia una tassa per avere il prestito. Sembra assurdo, ma queste sono le condizioni dei mercati finanziari attuali, per effetto della politica di tassi negativi decisa dalla Bce. Questo è ciò che rende lo strumento di sostegno alla crisi pandemica molto attraente. Ricordiamo, a titolo comparativo, che attualmente il rendimento sul Btp decennale italiano si aggira attorno all’1,6% sul mercato secondario. Certamente, il prestito andrà poi restituito negli anni. Per farlo, il Governo dovrebbe indebitarsi per reperire le risorse e le condizioni di mercato che ci saranno nei prossimi 10 anni sono impossibili da predire. Ma potrebbe trovare le risorse anche nel maggior gettito a disposizione che si genera nel caso, sperato, che l’economia si riprenda. Se poi anche l’inflazione dovesse tornare a crescere nel prossimo decennio, ipotesi del tutto realistica, il costo del debito, per via dell’effetto Fischer, in termini reali, si ridurrebbe drasticamente. C’è poi un’altra considerazione da fare. I soldi del Mes sono già a disposizione.
Nel caso il Governo decidesse invece di finanziarsi sui mercati, il Tesoro dovrebbe immediatamente emettere nuovi titoli di Stato per 37 miliardi, riprogrammando tutta la sua strategia di funding per l’intero anno. Una operazione impossibile da realizzarsi in poche settimane.
Questi riportati sono dei meri calcoli finanziari, le famose “carte sul tavolo” che il premier Conte voleva vedere. Ora che le ha viste e che quindi può valutare i costi delle sue alternative, deve prendere una decisione. Immediata, perché, come dicevamo, la richiesta dei fondi Mes va fatta subito per avere le risorse in tempo utile, prima che sia troppo tardi. Le carte adesso ci sono tutte, le decisioni ancora no. Non si va lontano mandando la palla in tribuna. Non si mostra leadership in un momento drammatico come questo lavandosene le mani e rinviando tutto alle decisioni del Parlamento. Non decidere subito per il Mes, da parte del Governo Conte, equivale a dichiarare la propria impotenza politica di fronte all’emergenza economico-finanziaria. E l’impotenza politica, in questo momento, significa crisi di maggioranza, crisi di Governo. Senza credibilità nei confronti del Paese non si va da nessuna parte. O meglio, si va a casa.
© Riproduzione riservata