Silenzio, signori. L’ordine di scuderia è quello lì: silenzio assoluto, si fa finta che non sia successo niente. “Non rispondete alle provocazioni, compagni”: mi ricordo che una volta si diceva così. La scuderia di cui parliamo è quella della premiata ditta Pm&giornali. Che più che una scuderia è un robusto partito politico e qui da noi in Italia fa il bello e il cattivo tempo. Dispone di armi di offesa molto affilate e di armi di difesa efficientissime. Le armi di difesa consistono nel seppellire qualunque magagna. C’è qualcuno che dice che sia un sistema sostanzialmente molto simile alla vecchia “omertà”.
Un po’ più di un mese fa l’ex Pm Luca Palamara (che per anni è stato il capo del partito dei Pm) ha pubblicato un libro nel quale ha raccontato decine di episodi dai quali si deduce che i vertici della magistratura italiana non sono liberi ma vengono scelti e costruiti sulla base di puri e semplici giochi di potere, sono scelti dalle correnti al di fuori di ogni criterio di indipendenza, e si è scoperto che questi giochi di potere producono clamorose deviazioni nella giurisdizione, condizionano indagini, sentenze, uso del carcere. Uno scandalo che non ha precedenti, direi dai tempi del delitto Matteotti. È quella l’ultima volta che il potere ha dichiarato formalmente la sua intoccabilità: “ Se il fascismo è una associazione a delinquere – disse Mussolini – io ne sono il capo”.
Nei giorni scorsi questo giornale ha denunciato altri due episodi clamorosi delle vicende di magistratopoli. Uno è stato raccontato anche in Tv, e riguarda il più importante giornalista giudiziario italiano (Bianconi, del Corriere della Sera) che – senza neppure scriverlo sul giornale – avvisò riservatamente Luca Palamara che a Perugia era in corso una inchiesta giudiziaria su di lui. Palamara non ne sapeva niente. Fuga di notizie. Reato. Colpevoli presunti i Pm di Perugia dell’epoca. Indagini? A noi non risulta. Risalto sui giornali? Zero. Proprio zero virgola zero.
Il secondo episodio l’abbiamo denunciato due giorni fa con un articolo di Paolo Comi. Ci era stato detto che per un errore (o forse per una maliziosa intenzionalità) il trojan di Palamara si era spento proprio la sera del suo incontro a cena con Giuseppe Pignatone, nel quale si parlò della nomina del nuovo procuratore di Roma e di altre scelte di potere. Era una cosa molto grave. Ma abbiamo scoperto una cosa più grave ancora: non è vero che si era spento. Il trojan ha funzionato. Il file con l’intercettazione esiste, però è sparito. Chi l’ha fatto sparire? Dove è finito? Perché ci hanno mentito e su ordine di chi?
Queste denunce sono cadute nel nulla. Sono fatti clamorosi ma i giornali non ne hanno neanche parlato. Perché? Ordini superiori? Del partito dei Pm, evidentemente, al quale i giornali aderiscono. Le cose, nel campo dell’informazione giudiziaria, da noi funzionano più o meno come a Cuba. Forse però la censura è anche più efficiente, da quando è morto Castro. L’unico che non è scappato via di fronte alla notizie, lo dico con stupore, è stato Massimo Giletti.
E le procure? Le Procure tacciono. E i politici? Si sono nascosti sotto i tavolini dei loro banchi alla Camera, credo. Non se ne trova nessuno che abbia voglia di occuparsi del Palamaragate. Scotta. Per quel che ne so l’unica parlamentare che si è esposta e ha denunciato lo scandalo del trojan sparito è una parlamentare europea che si chiama Sabrina Pignedoli. Di che partito è? Dei 5 Stelle. E qui il mio stupore ha superato lo stupore per Giletti. È proprio così, spesso in politica succede quello che mai prevederesti. Grazie, onorevole Pignedoli, ci fai sentire un po’ meno soli. Noi comunque non ci adeguiamo all’ordine del silenzio. Continueremo a bussare alla porta delle Procure e a quella dell’opinione pubblica: C’è nessuno? Chissà, prima o poi magari qualcuno ci risponderà…