La via telematica
Il Parlamento è dimezzato, giusto votare online
Oggi pomeriggio si riunisce la Giunta per il regolamento della Camera per discutere della partecipazione in via telematica ai lavori parlamentari nell’attuale periodo di emergenza. È un’iniziativa senz’altro opportuna (tanto più se paragonata al corrispondente silenzio del Senato…) perché riconduce nell’organo parlamentare – specificatamente chiamato a dare pareri sull’interpretazione delle norme regolamentari interne – un dibattito intensificatosi in questi giorni anche a seguito delle decisioni assunte nel merito da alcuni parlamenti nazionali (Francia, Spagna) e dallo stesso Parlamento europeo. Le buone notizie, però, finiscono qui, dato che la Giunta è stata convocata per discutere solo delle modalità di svolgimento dei lavori delle Commissioni, e non quelli dell’Aula.
Finora, come noto, le Camere hanno affrontato la crisi riducendo l’attività delle Commissioni oppure, quando è stato necessario convocare l’Aula, ricorrendo alla riduzione concordata, per gentlemen’s agreement, del numero dei parlamentari tra i gruppi, così da mantenerne inalterate le proporzioni (c.d. pairing). Spero che a nessuno sfugga che si tratti di soluzioni provvisorie, sia perché non si può certo impedire ad un parlamentare che lo volesse di partecipare ai lavori d’Aula, sia perché oggi più che mai c’è bisogno di più Parlamento, inteso come la sede istituzionale in cui tutte le forze politiche possono confrontarsi sulla gestione e sui postumi di una emergenza purtroppo non breve, controllando l’operato del Governo.
Dinanzi a tale fondamentale obiettivo – vera stella polare di ogni ragionamento – tutte le obiezioni finora mosse inevitabilmente scolorano. Così, chi ritiene che la presenza cui fa riferimento la Costituzione (artt. 55.2, 62 e 64) sia soltanto quella fisica, perché l’unica che permetta il confronto parlamentare all’interno e tra le forze politiche, per un verso ne fossilizza il testo secondo il suo originale intento, privandolo della dinamicità che ogni atto giuridico – e tanto più la Costituzione – intrinsecamente possiede per rispondere alle sollecitazioni provenienti dai mutati contesti storico e sociali (si pensi alla copertura costituzionale di nuovi diritti personali e sociali, come quello all’ambiente, o dell’adesione all’Ue, di cui la Costituzione non parla); per altro verso finisce per identificare, anzi anteporre, il modo (la presenza fisica) al fine (l’essere riuniti per discutere e deliberare) quando invece la prima non è sempre sinonimo della seconda (solo un velo di pietosa ipocrisia impedisce di discutere sul come oggi i parlamentari sono soliti essere “presenti” in Aula e di cui i continui quanto inutili richiami all’ordine dei Presidenti sono sconfortante riprova).
In una situazione in cui la diffusione del contagio ed il rispetto delle prescrizioni sanitarie alterano già, e rischiano di ulteriormente alterare, la composizione politica delle camere, con parlamentari in quarantena o che hanno obiettive difficoltà a raggiungere Roma, perché negare a costoro – e solo a loro – la possibilità di partecipare – cioè non solo votare ma anche discutere – in remoto all’attività parlamentare? Si obietta: tra i compiti dei parlamentari vi è quello di dare il buon esempio (come scriveva Bagehot) per cui essi devono lavorare al pari di tutti coloro (personale sanitario in testa) che svolgono servizi pubblici essenziali. Riconosco la grande forza simbolica dell’argomento ma mi pare un’obiezione, mi si consenta, che rischia di indulgere ad una certa demagogia.
Innanzitutto ai parlamentari sarebbe impedito ciò che ad altri lavoratori è permesso, e cioè il lavoro da remoto, ed anzi sarebbe imposto loro di non osservare quelle distanze di sicurezza previste per tutti i cittadini (e che la capienza delle Aule di Camera e Senato non consentono di rispettare). In secondo luogo, la partecipazione da remoto sarebbe consentita, come detto, solo a quanti impossibilitati ad esercitare il loro dovere di partecipare ai lavori parlamentari (tema in futuro da riprendere ed estendere ad altri casi: gravidanza, paternità o maternità, grave infermità fisica).
Infine, in tempi di populismo come gli attuali, va con coraggio ma con pari forza affermato che i parlamentari non sono cittadini come gli altri, proprio perché chiamati per Costituzione a rappresentarli nell’interesse della Nazione; per questo motivo, l’esercizio del loro mandato è assistito in Costituzione non da privilegi ma prerogative, a garanzia non dei singoli ma delle Camere cui appartengono. Insomma, mai più di ora “uno non vale uno”.
In questa prospettiva, la valorizzazione dell’attività delle commissioni, quali sedi decentrate che per Costituzione possono sostituirsi in tutto (sede legislativa) o in massima parte (sede redigente) all’Assemblea, financo nemine contradicente per la conversione dei decreti legge, può costituire solo un primo significativo ma, temiamo, insufficiente passo, verso soluzioni più strutturate, come la costituzione di commissioni speciali (anch’esse previste in Costituzione) e, per l’appunto, l’introduzione della partecipazione e votazione ai lavori parlamentari per via telematica, sfruttando l’autonomia regolamentare riconosciuta alle Camere sulle modalità di votazione (Corte cost., sentenza n. 379/1996) al fine di garantire quel buon andamento dei lavori che per dovere istituzionale spetta ai Presidenti delle Camere assicurare.
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