Resto o lascio? Il dilemma di Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo in rotta di collisione col fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, è di quelli che non lasciano dormire la notte. Per l’ex premier, che lunedì dovrebbe rendere note pubblicamente le sue intenzioni, si aprono più scenari.
I primi due vedrebbero Conte restare nelle fila del Movimento, portando a termine l’incoronazione a leader pentastellato: ma uno come ‘monarca’, da unico capo politico del partito che nascerà grazie al nuovo Statuto; l’altro scenario vedrebbe invece Conte cedere parte dei suoi poteri a Beppe Grillo, che di mollare il suo Movimento non ci pensa proprio, anzi, esigere di avere l’ultima parola su linea politica (soprattutto estera) e sulle nomine.
La terza via, quella che provocherebbe un autentico terremoto in Parlamento, vede invece Conte mollare la compagnia pentastellata per fondare un suo partito.
IL PARTITO DI CONTE – A indicare questa strada è il giornalista di riferimento di Conte, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. “Se Conte vuol fare politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende”, scrive oggi nel suo editoriale Travaglio, citando e parafrasando una ormai celebre frase di Piero Fassino.
Già, quanti voti prenderebbe Giuseppe Conte? L’ex premier resta il leader politico (senza partito) più gradito secondo il sondaggio Ipsos pubblicato oggi dal Corriere della Sera con un indice di 49, in calo di due ma comunque 9 punti davanti Giorgia Meloni seconda in classifica.
Ma come spiega al Messaggero Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, “avere stima di Conte non equivale a votarlo”. “Conte prenderebbe un abbaglio se ritenesse che il gradimento verso di lui, indubbiamente alto, fosse la base di un partito come ad esempio En marche di Emmanuel Macron in Francia”, continua l’esperto.
IL PRECEDENTE MONTI – L’incubo per Conte sarebbe quello di ripetere l’esperienza di Mario Monti. Era il novembre 2011 quando il senatore a vita di fresca nomina assunse il ruolo di presidente del Consiglio a seguito delle dimissioni di Silvio Berlusconi, con un Paese stretto da una gravissima crisi economica.
Monti inizialmente dichiarò di non voler entrare in politica, salvo poi presentarsi come candidato premier alla guida della coalizione centrista Con Monti per l’Italia, coalizioni che comprendeva il suo partito personale Scelta Civica. Una scelta arrivata anche per i sondaggi che lo davano ‘col vento in poppa’, con indici di gradimento anche superiori a quelli attuali di Conte.
Come andò a finire è cronaca politica: nel 2013 Scelta Civica ottenne l’8,3% dei voti (mentre la coalizione il 10,5%), al Senato la lista Con Monti per l’Italia il 9,1%. Una coalizione e un partito che nel volgere di pochi anni si sfaldarono, tanto da far passare lo stesso Monti al Gruppo Misto abbandonando la sua stessa ‘creatura’.