Il patto
Il patto della movida, de Magistris e De Luca si misurano su Napoli

De Luca e de Magistris parlano di baretti e di spritz più o meno alcolici, o anche, come avverte il governatore rivolgendosi ai più giovani, di vodka a 0,50 centesimi, prodotta evidentemente non a San Pietroburgo, ma “nelle reti fognarie delle nostre città”. L’uno e l’altro si misurano sulla movida, ma in realtà pensano ad altro: a chi decide in questo Stato in emergenza. Se un governo, come dice De Luca, di “ladri” e “rapinatori” che, annidati nei ministeri dell’Economia e della Sanità, sottraggono costantemente risorse alla Campania; o una Regione, come dice de Magistris, che usa la paura del contagio per giustificare inaccettabili tendenze centraliste. Tuttavia, è proprio la movida a offrire ai duellanti una via d’uscita concordata, un modo per non procedere “a capocchia”, come esorta il governatore; o prevedendo “clausole di salvaguardia”, come invece suggerisce il sindaco per dilatare la vita notturna e non per limitarla negli spazi e nel tempo.
Su baretti e spritz ci sarà dunque un’ulteriore stretta voluta dalla Regione, ma attenzione: gli effetti dell’ultima ordinanza potrebbero valere solo nelle aree residenziali; diversamente, altrove potrebbero scattare opportune eccezioni, come chiesto dal Comune. Ad esempio, in aree come l’ex Nato di Bagnoli, l’ippodromo di Agnano o, più di ogni altra, quella del Centro Direzionale. Che diventerà così una sorta di Ok Corral istituzionale, il terreno su cui sperimentate due modelli alternativi di città: quella chiusa e protettiva del governatore e quella aperta e “liberale” del sindaco. L’idea di città di Platone contro quella di società di Popper? Per carità, non è il caso di esagerare con le suggestioni ideali. Ma la sfida sul Centro direzionale potrebbe assumere comunque un alto valore pratico e simbolico.
Proprio su quest’area di confine, uno storico dell’architettura come Renato De Fusco ha scritto, anni fa, pagine ancora molto attuali. E il fatto che ora io le citi dimostra già che la sola idea di portare la movida fin sotto i grattacieli del Centro direzionale è bastata a riaprire un discorso urbanistico altrimenti destinato a una sospensione infinita. Intanto, De Fusco ci ha ricordato perché si chiama Centro direzionale. Quel nome fu scelto con un duplice intento: direzionale in senso geografico, perché indicava una direzione di marcia, quella dei quartieri orientali e dell’area metropolitana da valorizzare; e direzionale in senso oggettivo, perché doveva essere il luogo degli affari e delle scelte, capace per questo di decongestionare aree come il rione Carità, deputate all’attività pubblica ed amministrativa. Poi, De Fusco ha anche individuato il cuore del problema.
Il Centro direzionale doveva costituire il fronte estremo della modernizzazione urbana, un fronte portato fin nella desolazione di un’area estesa tra il carcere e il cimitero. Doveva dunque essere in continuità con la Napoli antica, di cui, con i suoi boulevard (o le sue “prospettive” russe, come la vodka di cui sopra) richiamava lo schema lineare dei decumani, doveva risanare una zona degradata. E doveva, ancora, spingere la città verso l’interno. Ha svolto queste tre funzioni? Decisamente no. Tuttavia, il fatto che il Centro direzionale sia molto frequentato negli orari di ufficio, per la presenza del Tribunale e non solo, fa sì che la memoria del luogo non sia stata del tutto cancellala. Qui, insomma, non è successo quello che invece già caratterizza la disastrosa vicenda di Bagnoli. Tutto questo fa sì che anche una questione assolutamente marginale come il destino della movida possa ora tornare utile alla città.
© Riproduzione riservata