L’Italia, nonostante le opinioni diffuse, si conferma un laboratorio di innovazione istituzionale di prim’ordine, specialmente a livello territoriale. Nel corso del mio impegno politico, ho avuto l’opportunità di incontrare alcuni giovani coinvolti in un’iniziativa chiamata Presidio Partecipativo per il Patto di Fiume Simeto. Una rete composta da numerose associazioni e cittadini della Valle del Fiume Simeto, situata in Sicilia, ai piedi del Monte Etna, tra le province di Catania ed Enna. Il Presidio agisce e coinvolge secondo il metodo della partecipazione civica, elabora progettualità dal basso, avanza proposte e istanze alle amministrazioni locali, con le quali ha stretto nel maggio del 2015 un Patto, denominato proprio “Patto di Fiume Simeto” (sottoscritto dal Presidio, da 10 comuni della Valle e dall’Università degli Studi di Catania).

Attiva quindi dal 2015, l’iniziativa si propone di promuovere un ampio piano di Sviluppo Sostenibile e di Tutela Proattiva della Valle, dei suoi ecosistemi e delle comunità che vi abitano.

Al riguardo, ho ricevuto la disponibilità da David Mascali, presidente del Presidio, da Marianna Nicolosi socia e attivista, e da Carmelo Caruso, vicepresidente, per una breve intervista per raccontarci di più rispetto a questa assoluta best practice, a maggior ragione oggi che ci interroghiamo su quali siano gli strumenti più efficaci per affrontare il dissesto idrogeologico e i cambiamenti che incidono nei territori, accompagnandoli dal basso e integrando il lavoro delle unità di missione, dell’amministrazione regionale e del governo nazionale.

Incominciamo con una domanda banale, ma non scontata: chi ve l’ha fatto fare? Ovvero, qual è stata la spinta che ha portato alla nascita del Presidio? E Perché l’obiettivo di arrivare al Patto del Fiume Simeto?

In questo territorio si è assistito ad un processo per certi versi opposto, inverso rispetto a molte altre esperienze civiche in Italia e all’estero. Un processo scaturito da una veemente protesta contro il piano regionale dei rifiuti promosso ad inizio anni 2000 dall’allora governo regionale di Cuffaro, e specificatamente contro un inceneritore immaginato per la costruzione in prossimità del fiume Simeto, in un’area ad alto pregio paesaggistico, naturalistico e agricolo. Una protesta che tuttavia si è presto evoluta in Proposta, grazie all’impegno di lungimiranti attivisti “simetini”, che coinvolsero da subito alcuni ricercatori dell’Università di Catania per tentare di formulare insieme, partecipativamente, un vasto piano di tutela proattiva e sviluppo sostenibile della Valle del Simeto. Un modo per dire, insomma, che non volevamo quel modello di sviluppo, volendo però elaborarne un altro, alternativo, radicalmente e sostanzialmente innovativo, più inclusivo e più attento ai territori, all’ambiente, alla cultura. Un passaggio strategico fondamentale in questo percorso fu la proposizione di un “Patto” (il Patto di Fiume, appunto), tra cittadinanza attiva e istituzioni locali, nel quadro di una collaborazione strutturale con l’Università per guardare all’innovazione sociale, implementando strumenti concreti di partecipazione attiva e di co-progettazione delle politiche di sviluppo locale.

È stato complicato mettere in rete tutti questi attori istituzionali? Avete riscontrato una loro ritrosia nei primi passi? E nei cittadini?

La co-progettazione delle policies a livello politico e procedurale è stata e continua ad essere molto complicata. Alcune amministrazioni sono state più sensibili rispetto ad altre dal punto di vista politico e culturale. Tuttavia, è stato difficile far comprendere che la co-progettazione non toglie poteri e autonomia decisionale agli attori politici locali, ma li rafforza e favorisce una maggiore maturazione sociale e politica delle comunità. Le proposte, i piani e i progetti condivisi e co-elaborati, nonostante possano sembrare più complessi e lenti, in realtà hanno un impatto maggiore sul piano sociale ed economico. Ciononostante, questo concetto fatica ancora ad essere accettato appieno. Inoltre, la normativa attuale manca di spazi concreti e normativi per attuare la partecipazione dei cittadini e delle comunità. Il Patto di Fiume si propone quindi di superare l’idea di democrazia partecipata limitata alla gestione collettiva delle risorse finanziarie comunali. Rappresenta invece un ambizioso tentativo di elevare la partecipazione a uno strumento sistemico per definire le politiche pubbliche e lo sviluppo locale nei territori. Un esempio di questo approccio è stato dato dalla co-progettazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne, in cui la Valle del Simeto è stata riconosciuta come un’area strategica di rilevanza nazionale grazie al modello di partecipazione proposto. Il Presidio ha giocato un ruolo determinante in questo processo. Tuttavia, lungo il percorso di oltre un decennio, ci sono stati momenti di slancio e momenti di fatica nel sostenere il processo, soprattutto a causa delle dinamiche politiche locali. Questi processi richiedono uno sforzo continuo anche da parte dei cittadini attivi, e nel tempo si sono manifestati momenti di stanchezza evidente. Per questo motivo, negli ultimi anni, il Presidio si è concentrato sull’infrastrutturazione” della società civile nell’area, puntando sull’organizzazione, il metodo, l’efficacia delle proposte e delle azioni, attraverso la capacità delle associazioni e degli attivisti, anche con il supporto di progetti specifici sostenuti, tra gli altri, dalla Fondazione con il Sud, come il progetto ReCap – Reti Capacitanti nella Valle del Simeto.

Ritenete che il modello partecipativo inaugurato e portato avanti abbia iniziato effettivamente a cambiare volto al territorio interessato? Quale pensate sia il valore aggiunto dato dal Patto all’efficienza e alla qualità del governo del territorio?

Si sono aperti nuovi spazi di opportunità nella Valle del Simeto, soprattutto per i giovani. Si sta promuovendo l’idea di iniziative cooperative, incluse quelle di natura imprenditoriale, che valorizzino i beni comuni, l’agricoltura, i beni culturali e il paesaggio. Molti giovani si stanno interessando e sono pienamente coinvolti nella creazione di piani strategici, nell’organizzazione comunitaria e nella progettazione per lo sviluppo locale.

Dal punto di vista amministrativo e progettuale, l’esperienza del Patto di Fiume ha favorito la creazione di collegamenti e reti tra i vari attori locali, sia istituzionali che non istituzionali, nel territorio della Valle. Queste reti hanno consentito di formare rapidamente e spontaneamente partenariati essenziali per affrontare le sfide emergenti dello sviluppo, comprese le opportunità di finanziamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Questa pratica, sebbene non ancora completamente consolidata, è in fase di sviluppo e viene sempre più sperimentata rispetto al passato.

Inoltre, l’ambiente è diventato una tematica centrale nell’agenda politica locale, anche durante situazioni conflittuali. Ad esempio, una grande mobilitazione ha impedito la costruzione di una mega discarica nell’area di Muglia a Centuripe nel 2018, una zona di grande valore paesaggistico e archeologico. Il comune di Paternò ha risposto prontamente a un appello per sviluppare un progetto di riqualificazione e conservazione dell’area naturalistica di Ponte Barca, un’importante oasi avifaunistica lungo il fiume, in collaborazione con le associazioni. Questo progetto è diventato un modello per altre iniziative simili. Sempre a Paternò, l’area dell’ex macello comunale, un edificio storico di grande valore architettonico e monumentale, sta diventando un importante polo culturale in grado di ospitare workshop, laboratori formativi, incontri con scuole e università. Inoltre, ospita la sede ufficiale del Presidio Partecipativo.

In generale, si stanno compiendo progressi nella promozione della partecipazione attiva dei cittadini e nell’integrazione delle tematiche ambientali nelle politiche locali della Valle del Simeto.

Quali sono le prospettive future? Avete creato sinergie con esperienze simili lungo il territorio nazionale? Credete che possa diventare una best practice, a maggior ragione ora che ci si interroga su come arginare e affrontare le problematiche derivanti dal cambiamento climatico, vedi l’ultima tragica alluvione dell’Emilia-Romagna?

Il Presidio Partecipativo della Valle del Simeto mira a diventare uno spazio di partecipazione ampio ed inclusivo, che si posizioni tra le élite politico-culturali e i cittadini, riempiendo il vuoto lasciato dai grandi partiti di massa. L’obiettivo è creare una rete a livello locale e regionale, chiamata “L’isola che c’è!”, che metta insieme esperienze di partecipazione civica e innovazione sociale, coinvolgendo anche imprenditori sociali, sindacati e conoscenze scientifiche. L’obiettivo è avviare processi di cambiamento irreversibili, strutturali e trasferibili.

A livello regionale, il Presidio ha contribuito all’approvazione di una legge sull’Accoglienza e Inclusione in Sicilia, che era mancante fino a quel momento. Inoltre, sta lavorando su temi come l’innovazione scientifica, l’agricoltura sociale e il welfare generativo attraverso leggi regionali.

A livello nazionale, il Presidio ha stretto gemellaggi con esperienze simili, come il Contratto di Fiume del medio Panaro in Emilia-Romagna. Anche questa esperienza si basa sulla progettazione partecipativa, coinvolgendo le popolazioni e le associazioni locali. Inoltre, il Presidio ha partecipato alla rete nazionale “Officina Giovani Aree Interne”, esperienza a supporto del Comitato Tecnico nazionale Aree Interne, nell’ambito del quale i giovani attivisti simetini hanno dato un importante contributo nell’avvio del processo partecipato di definizione di un documento proposte di policy per le opportunità dei giovani nelle aree interne, sottoposto nel 2021 all’attenzione del Ministro per il Sud, Mara Carfagna.

Riteniamo che questi strumenti possano mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e responsabilizzare chi opera nei territori per evitare disastri ambientali. La collettività inizia a vedersi come una comunità che si prende cura del territorio come bene comune, bilanciando le esigenze umane con quelle della natura.

Una domanda di colore: ritenete possa essere definito “Riformista” questo modo di approcciare alla risoluzione dei problemi, senza mettere in discussione la democrazia rappresentativa, ma arricchendola con queste esperienze, andando oltre la demagogia da un lato e l’immobilismo dall’altro?

 Ci definiamo riformisti nel senso del rispetto, in forma e sostanza, dei meccanismi della democrazia rappresentativa, rispetto ai quali proponiamo una ristrutturazione dei “corpi intermedi”, nell’epoca in cui gli spazi di partecipazione un tempo appannaggio dei grandi partiti di massa sono sostanzialmente spariti. Per questo ambiamo ad infrastrutturare la società civile, affinché si possano elaborare approcci sistemici e contribuire così, concretamente, al cambiamento.

Sul piano valoriale e della visione complessiva, invece, rivendichiamo una marcata radicalità, in particolare rispetto al paradigma corrente improntato all’egemonia del liberismo economico che ha mutato profondamente gli scenari sociali a livello globale. Alle logiche performative, competitive, estrattive ed economicistiche, gli attivisti simetini, infatti, contrappongono una visione improntata all’economia circolare, all’inclusione sociale, alla valorizzazione dei talenti e delle culture locali: un sistema di valori e visioni, insomma, che non lasci indietro nulla (il territorio, l’ambiente, la natura) e nessuno (fragili, le periferie, gli ultimi), e che guardi ad un autentico Progresso civile e sociale.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna