Nella corsa per la Casa Bianca, la politica estera ha un ruolo importante. Forse non decisivo nelle scelte della maggior parte dell’elettorato statunitense, ma importante non solo per una parte di esso ma soprattutto per le altre potenze. Soprattutto quelle rivali. Lo sa bene la Russia, che ha sfruttato la “distrazione” o anche il “vuoto di potere” tra la fine del mandato di Joe Biden e l’elezione del nuovo presidente per spingere sull’acceleratore in Ucraina. O addirittura per irritare l’America con gesti palesemente provocatori come la multa a Google dal valore più alto dell’intero PIL mondiale. E ne è consapevole anche la Corea del Nord che ha deciso di provocare Seul, testare il nuovo missile balistico intercontinentale Hwasong-19, inviare soldati in Russia (e Ucraina) e lanciare segnali sull’arsenale nucleare proprio pochi giorni prima del cambio della guardia a Washington.

Il patto di ferro tra Putin e Kim

Vladimir Putin e Kim Jong-un hanno così unito le loro forze in un patto di ferro che non allarma soltanto i vicini asiatici, ma anche Kiev e tutto l’Occidente, dall’Europa agli Stati Uniti. L’invio dei soldati nordcoreani ad addestrarsi nella Federazione Russa per essere poi dispiegati nel Kursk o sul fronte del Donbass non è infatti rilevante solo dal punto di vista tattico, ma è una vera e propria rivoluzione sul piano strategico. Mosca e Pyongyang ora sono legate da un trattato che ieri ha avuto la sua consacrazione anche con l’incontro tra la ministra degli Esteri nordcoreana, Choe Son-hui, e il suo omologo russo Sergei Lavrov. All’ombra del Cremlino, l’inviata di Kim ha confermato che il suo paese sarà al fianco “dei nostri compagni russi fino al giorno della vittoria”.

“Non abbiamo alcun dubbio che sotto la saggia guida del rispettato presidente Putin, l’esercito e il popolo russo otterranno una grande vittoria nella loro sacra lotta per proteggere i diritti sovrani e proteggere la sicurezza del loro Stato”, ha detto Choe. E durante l’incontro con Lavrov, la ministra ha anche sottolineato la volontà del regime di fare leva sul suo arsenale atomico. Incubo strategico non solo di Seul, ma anche di Tokyo e Washington. Lavrov ha confermato i “contatti stretti” tra i due eserciti, un modo volutamente vago di ammettere che il patto che prevede lo schieramento di truppe non più essere negato di fronte a prove fotografiche e dati dell’Intelligence di mezzo mondo.

Soldati coreani in guerra, Zelensky: “Reazione occidente è stata zero”

Ma adesso il problema è capire soprattutto come questa evoluzione sul campo di battaglia possa rappresentare una nuova spina nel fianco per il prossimo presidente Usa, che si troverà a gestire non solo una Corea del Nord sempre più vivace e pericolosamente incline alle minacce, ma anche una Russia che appare rinvigorita da un mese di lente e sanguinose avanzate, sia nell’Ucraina orientale che nel Kursk. Volodymyr Zelensky è preoccupato e la sua frustrazione ormai è evidente. In un’intervista alla televisione sudcoreana, il presidente ucraino ha ammesso che la reazione occidentale all’invio dei soldati di Pyongyang in Russia è stata “zero”. E il capo dello Stato sa bene che questo è un ulteriore segnale di pericolo riguardo la profondità dell’impegno della Nato e di Washington sul fronte dell’Europa orientale. “L’esercito nordcoreano è già nella regione di Kursk. Non hanno ancora visto il combattimento, ma lo faranno. È questione di giorni, non di mesi”, ha detto Zelensky. Che ha ricordato come in questo modo “Putin sta mettendo alla prova la reazione dell’Occidente, dei paesi della Nato e della Corea del Sud”.

Per Zelensky non ci sono dubbi: “Il prossimo presidente degli Stati Uniti può rafforzare o ridurre il sostegno all’Ucraina. Se tale sostegno si ridurrà, la Russia si impossesserà di altro territorio, impedendoci di vincere questa guerra“. I soldati nordcoreani, se anche fossero 10mila, non colmerebbero il vuoto delle perdite russe, che sono state decisamente superiori. Ma per Kiev rimane il problema: Putin ha dalla sua dei paesi disposti a fornire armi, munizioni e soldati da mandare al fronte. Mentre per l’Ucraina, tutto dipende (anche) da chi siederà sul trono di Washington. E che vinca Donald Trump o Kamala Harris, la garanzia sul sostegno a oltranza da parte Usa inizia a vacillare. Mentre all’orizzonte, per gli Usa e la Nato, inizia ad affacciarsi un altro grande dossier: quello coreano. L’invio dei soldati di Kim può cambiare radicalmente gli equilibri nella penisola. E questo vale non tanto per l’Ucraina, quanto per il confine che corre lungo il 38esimo parallelo.