Il Patto per Napoli firmato lo scorso 29 marzo dal premier Mario Draghi ha destato perplessità fin dall’inizio. Non convince. Ed è per questo che Alfredo Guardiano, consigliere di Cassazione, Alfonso Maria Cecere, associato di Istituzioni di Diritto pubblico Università degli Studi di Napoli Federico II, Pasquale De Sena, ordinario di Diritto internazionale Università degli Studi di Palermo, Rosario Patalano, ordinario di Storia del Pensiero economico alla Federico II e Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale dell’ateneo federiciano, hanno istituito un osservatorio indipendente e critico per monitorare il Patto e all’occorrenza sottolineare gli aspetti che destano perplessità. E ce ne sono non pochi.

«Il patto è uno strumento giuridico anomalo – spiega il professor Lucarelli – È una legge di bilancio che prevede delle risorse ma impone al Comune molte condizioni. Da studiosi abbiamo deciso di analizzare questo nuovo modello di governance della città e le condizioni per avere questi finanziamenti da Roma, spalmati in vent’anni. Le condizioni sono condizioni stringenti che pone lo Stato e alla fine il cosiddetto patto non è un vero contratto». Il contratto prevede, infatti, che i due enti fondativi della Repubblica, Stato e Comune, si siedano a un tavolo e discutano. In questo caso i patti contrattuali stanno tutti nella legge di stabilità. «Ecco perché sosteniamo che si tratta di un modello anomalo – afferma Lucarelli – cioè di un contratto per accettazione nel quale il Comune non fa altro che sottoscrivere le condizioni dettate dallo Stato. È un contratto a condizione». Guardando le precedenti esperienze, il contratto è lo stesso che fu adottato per salvare la Grecia, quindi ti diamo questi fondi a condizione che l’ente privatizzi gli aeroporti, i porti, i servizi pubblici, aumenti le tasse e riduca le pensioni. Ed è quello che dovrà fare, e in parte sta già facendo, il Comune di Napoli.

«Non ci convince – sottolinea Lucarelli – perché cambia la natura stessa che la Costituzione attribuisce al Comune che è un elemento fondativo della Repubblica che invece in questo modo perde completamente l’autonomia discrezionale delle attività politico-amministrativa. Diventa un ufficio decentrato dello Stato, un’ancella di Roma». Secondo gli esperti, che hanno inaugurato ieri il nuovo osservatorio, un’altra soluzione c’era. Il patto per Napoli non è, come è stato voluto far credere, l’unico modo per tirare Palazzo San Giacomo fuori dal pre-dissesto. «Un’altra strada sarebbe stata possibile – spiega Lucarelli – un provvedimento statale del 2019 prevede, infatti, che lo Stato si accolli i mutui degli enti locali, determinando così l’abbattimento dei tassi di interesse che sono al 5%, praticamente da usura. Il debito maggiore – precisa – il comune di Napoli lo ha proprio verso lo Stato, in particolare con la Cassa depositi e prestiti. C’era la possibilità, quindi, di intervenire in maniera strutturale sul debito, in particolare su questi mutui inaccettabili». Ma che fare ora che il Patto è stato firmato? «Chiederemo con forza al Comune di poter accedere agli atti per una questione di trasparenza – conclude Lucarelli – attraverso un osservatorio assolutamente indipendente e con un metodo rigoroso e scientifico analizzeremo le questioni e le metteremo al servizio della collettività».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.