La Sala dei Baroni è stata ieri testimone di un secondo tragico inganno. Il primo fu consumato nel 1486, quando re Ferrante I ingannò i baroni ribelli invitandoli, in segno di riconciliazione, alle nozze di una sua nipote per poi giustiziarli. Il secondo inganno, certamente meno cruento ma non meno significativo per la storia della nostra città, si è consumato ieri tra le stesse austere mura dove i fantasmi dei baroni ingannati invocano ancora giustizia: in pompa magna si è celebrata l’apposizione del sigillo governativo per mano del premier Draghi al cosiddetto Patto per Napoli, presentato come un miracoloso intervento di solidarietà nazionale per la rinascita della città, ma che nei fatti è la ratifica di un stato di conclamato dissesto che metterà per i prossimi venti anni sotto tutela l’amministrazione locale limitando fortemente la sua autonomia finanziaria.

Chiariamo per smascherare un abusato slogan da propaganda elettorale che non è mai stata definita una legge specifica per Napoli, il finanziamento statale è stato previsto per il ripiano del disavanzo delle città metropolitana, e non quindi per il solo capoluogo campano, ed è contenuto in una ordinaria legge di bilancio. Chi legge con attenzione il testo della legge, comprende che nessun regalo è stato fatto alla città. In modo molto chiaro è stabilito che le finanze comunali devono coprire con risorse proprie un quarto del finanziamento statale, il che significa che per ogni 100 milioni di euro stanziati dallo Stato, il comune dovrà trovare risorse locali per 25 milioni di euro. Inoltre, dovrà seguire un crono-programma, con cadenza semestrale, sotto il controllo del governo che verificherà l’attuazione degli obiettivi di risanamento che vanno dall’aumento dell’addizionale Irpef in deroga ai massimali, alla vendita del patrimonio, al contenimento e riqualificazione della spesa, a misure di potenziamento della riscossione, all’incremento dei canoni di concessione e di locazione.

Insomma, la politica da seguire nei prossimi due decenni è già dettata. Ma tutto questo non preoccupa per il momento i nostri amministratori, per questo anno arriveranno circa 54 milioni e le misure più drastiche, come l’aumento dell’addizionale Irpef, a carico del comune sono rinviate al 2023. Se solleviamo il velo della retorica da miracolo vediamo che dietro il presunto successo si nasconde un grande fallimento politico. Il problema di Napoli non può essere risolto con finanziamenti statali insufficienti accompagnati da misure più o meno occulte di austerità e di commissariamento. L’esposizione finanziaria del comune ammonta a 4.981.062.563 euro, che paragonato al deficit di Milano di soli 101,8 milioni di euro, è un vero baratro. In termini meno complicati, l’amministrazione partenopea non è strutturalmente in grado di assicurare i servizi ai cittadini. Lo squilibrio finanziario è il prodotto di scelte scellerate dei passati amministratori (politiche di gestione orientate al breve periodo, impreparazione del personale, inefficienze organizzative, bassa capacità di riscossione con conseguente scarsa liquidità e quindi abuso dell’anticipazione di tesoreria, pratica dei debiti fuori bilancio, scarsa attenzione alla gestione dei flussi finanziari), ma è anche il frutto di una economia depressa.

Milano ha un reddito imponibile pro capite pari a 32.330 euro, quello di Napoli si attesta a 19.757 euro. Ecco perché il risanamento finanziario dell’amministrazione comunale non potrà mai essere raggiunto con misure di austerità, ma deve essere accompagnato da piani di sviluppo sul modello della nittiana legge per Napoli del 1904, cioè un vasto intervento straordinario con finanziamenti statali destinati a specifici progetti e non dispersi in mille cantieri rattoppo, come accadrà con i fondi del Pnrr. Da un governo di unità nazionale ci saremmo aspettati di più, persino nella patria del liberismo, gli Stati Uniti, il governo federale interviene automaticamente con il Chapter 9 a favore delle municipalità in dissesto e senza toccare la loro autonomia. L’inganno della Sala dei Baroni presto sarà svelato, quando pioveranno sui cittadini napoletani nuovi balzelli e avidi mani si approprieranno dei bocconi più ghiotti del patrimonio comunale (per lo più ancora non censito). Ma tutto questo avverrà subdolamente volta per volta, delibera per delibera, subdolamente come fece re Ferrante e come fa comodo ad una classe politica che si dirà obbligata a drastiche misure, sentendosi deresponsabilizzata di fronte all’elettorato. Ma oggi tutti vogliono credere all’inganno e ai miracoli, così come i baroni vollero credere nella sincerità dell’invito di re Ferrante.