Conosco Marco Minniti da tantissimi anni, penso che sia una bravissima persona e che sia stato un politico eccellente. Colto, intelligente, sensibile, cresciuto a quella grande scuola politica che è stato fino agli anni Ottanta il Pci. Questo non vuol dire che non abbia commesso degli errori. Penso che abbia sbagliato da ministro dell’Interno l’impostazione della questione migranti. Perché? Per una ragione essenziale: la ha affrontata semplicemente dal versante Italia. Cioè dal punto di arrivo. Ha cancellato, o sottovalutato, il problema essenziale: il punto di partenza.

È un difetto, secondo me, di analisi che nasce proprio dalla cultura di origine di Minniti. Il limite del partito comunista, e della sua cultura, fu proprio quello: l’economicismo, cioè considerare la lotta di classe e la lotta politica come qualcosa legata esclusivamente, o quasi, al lavoro, al diritto al lavoro, ai diritti del lavoro, all’organizzazione del lavoro. Nel linguaggio di quel partito – al quale ho appartenuto per 20 anni – il protagonista era il lavoratore, non la persona. In questo, credo, la cultura cristiana è stata sempre superiore. Perché mette al centro la persona, senza classificarla, senza incardinarla in un meccanismo sociale.

Perciò Minniti ha sempre affrontato il problema migranti con questa idea: come accoglierne un certo numero, ma mettendo al primo posto non la loro esigenza di fuggire dai loro paesi ma l’esigenza di non danneggiare il popolo italiano. Anche quando andava in Nord Africa a trattare con quei governi, trattava su come fermare le migrazioni con la coercizione, non su come ridurne le cause. Minniti, quando è stato ministro dell’Interno, restando dentro il suo schema, ha operato benissimo. Lo schema era lo stesso della destra. Però la destra lo ha sempre applicato in modo sciatto e soprattutto propagandistico. Nell’ottica del salvinismo, cioè della propaganda: colpire i migranti per catturare voti. Minniti no: lo ha applicato con le sue straordinarie capacità professionali e con la sua serietà etica in modo rigoroso e senza cercare applausi.

Penso che sia giunto il momento di ribaltare quella impostazione. Lo può fare solo la sinistra. Anche se è in minoranza. Il Pd ha oggi l’occasione per farlo. Sta vivendo una fase delicata e straordinaria della sua storia. Si è posto l’obiettivo di cambiare e rinascere, e di diventare il pilastro di una nuova sinistra, intelligente e moderna. Io penso che debba affrontare questo tornante del suo cammino senza gettare alle ortiche la storia formidabile della sinistra italiana. Ma correggendola nei punti giusti. Questo è un punto decisivo: l’immigrazione e il diritto dei popoli stranieri di usare il mondo intero per migliorare le proprie condizioni di vita. È folle immaginare di impedire a chi vive in un paese dove il reddito medio, pro capite, è di 300 euro, di aspirare a trasferirsi in un paese dove il reddito è di cento o duecento volte superiore. Non è ragionevole progettare delle tecniche per fermare le migrazioni. E i paesi ricchi, come il nostro, devono abbandonare l’idea di gestire l’immigrazione coi decreti flussi. Devono progettare l’accoglienza. La modernità è questo, non è il nuovo modello di smartphone.

Io penso che una svolta vera su questi temi sia di portata gigantesca. Perché cambia completamente le prospettive strategiche della sinistra. Costringendola a pensare al suo futuro in una dimensione che non è più la dimensione nazionale. E che per non avere come effetto collaterale una forte perdita di consensi, ha bisogno di una gigantesca operazione e mobilitazione culturale. Come quella che negli anni Sessanta travolse l’establishment e le borghesie degli Stati Uniti e dell’Europa. Schlein e Bonaccini andranno in questa direzione? Non credo che abbiano altra strada. Salvo che non vogliano trasformare la sinistra in una destra un pochino pochino meno rozza.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.