I dem il giorno dopo l'entusiasmo
Il Pd ha vinto, ma ora Zingaretti non ha alibi: deve incalzare Conte
La paura può fare brutti scherzi. E far sembrare un isolotto verde la terra promessa. Il Pd ha avuto molta paura e il testa a testa dei sondaggi negli ultimi dieci giorni in Puglia e Toscana, la linea Maginot di questa tornata elettorale, non è stata solo tattica per spingere la gente alle urne. Venerdì sera, nella piazza SS. Annunziata a Firenze che il candidato del centrosinistra Eugenio Giani era riuscito comunque a riempire, il suo stesso staff sembrava rassegnato, «noi ce l’abbiamo messa tutta». Il secondo commento era: «Se perdiamo qua, andiamo subito a congresso». La paura quindi era vera. Per la tenuta generale, per il governo, per la segreteria del Nazareno. È chiaro che lunedì sera, quando lo spoglio dava margini non più recuperabili, è scattato l’urlo liberatorio. E le dichiarazioni entusiaste sulla “vittoria del Pd”, la maggioranza “stabilizzata”, l’azione di governo “rafforzata”.
Il giorno dopo, posati gli entusiasmi e messi in soffitta gli incubi, conviene analizzare i flussi elettorali. Intrecciandoli con i verdetti del voto in circa mille comuni e con dichiarazioni inequivocabili. Così la “vittoria” scolorisce in una “buona tenuta del Pd” figlia di tante circostanze anche esterne al Pd. E che ora va subito convertita in un cambio di agenda del governo. La prima doccia fredda arriva dalla Puglia, dal trionfatore Michele Emiliano (46,8%). «Sia chiara una cosa: qui in Puglia – ha detto il neoconfermato governatore – ha vinto un blocco sociale. Zingaretti ci ha dato una grande mano. Ma la vittoria è del popolo pugliese: qui il Pd ha preso il 17%, il resto è un’intera comunità che si è riconosciuta in un processo politico che si chiama solo Emiliano». Cioè, grazie di tutto ma ho vinto io e non il Pd. Del resto la stessa candidatura di Emiliano è nata “contro” il Pd, a cominciare dalle primarie convocate senza l’ok del Nazareno. E non sarà facile, d’ora in poi, stare dietro alle scelte di un governatore che quasi mai ha condiviso le linee nazionali.
La doccia fredda numero 2 arriva dalla Campania dove ha stravinto Vincenzo De Luca (69,4%). Ancora un “cacicco” – così venivano definiti anticamente i capi in grado di controllare personalmente intere comunità poi entrato nel gergo politico per indicare i detentori di grandi pacchetti di voti – che poco o nulla ha a che fare con il Pd che in Campania si è fermato al 16,9. La terza doccia “fredda”, più tiepida però, arriva dall’analisi sui voti del referendum. Il Pd ha tenuto sulla linea del Sì, il segretario Zingaretti si è speso sul taglio dei parlamentari e ha convocato una Direzione apposta per avere il via libera. Il punto è che la comunità del Pd non ha seguito le indicazioni di voto del suo segretario. O meglio, lo ha fatto ma si è spaccata. Un’analisi Swg dice che il 57,3% ha votato Sì mentre ben il 42,7% ha votato No. Una ferita che Zingaretti dovrà provvedere a risanare in fretta. Sperando che il famoso cantiere delle riforme istituzionali parta in fretta.
Tre “docce fredde”, dunque, che non autorizzano a gridare vittoria. Anzi. Anche perché i risultati finali sulle regionali si fermano al tre pari, con il centrosinistra che ha perso una regione storicamente rossa come le Marche conquistata da Fratelli d’Italia e dal suo candidato Acquaroli. Il risultato potrebbe poi ulteriormente cambiare: siamo in attesa della Valle d’Aosta dove la Lega è comunque il primo partito (24%). Ma potrebbe non essere sufficiente per governare la regione. In Valle d’Aosta sarà il consiglio regionale ad eleggere il Presidente e sono sempre possibili alleanze trasversali tali da ribaltare l’attuale primo posto della Lega.
Il vero motivo di orgoglio del Pd è la Toscana. Il successo di Eugenio Giani, candidato proposto da Matteo Renzi su cui tutti erano già pronti a sparare in caso di sconfitta, è figlio di una performance della lista Pd che ha raggiunto il 35 per cento, due punti sopra le Europee dell’anno scorso. Il profilo di Giani non è quello di un ex ragazzo delle Frattocchie, anzi: è un socialista che fa politica da sempre e per cui governare la sua regione è la realizzazione di un percorso dal basso. Italia viva si è fermata al 4,5% (il 6% a Firenze) ma nelle ultime due settimane Renzi ha battuto la Toscana in lungo e in largo e probabilmente c’è stato anche l’effetto polarizzazione su Giani più che su Italia viva.
Gli istituti di analisi stanno componendo i dati. L’Istituto Cattaneo segna «una ripresa sul piano elettorale del centrosinistra, la buona tenuta del Pd e un ampliamento dei consensi per l’area di governo». Un dato, si spiega, che non può essere «immediatamente proiettato a livello nazionale ma segnala un equilibrio diverso da quello rilevato dai sondaggi preelettorali». Il Pd si conferma «primo per consensi nel complesso delle regioni al voto seguito da Lega, Fratelli d’Italia, 5 Stelle e Forza Italia». Questo fa dire che «il Pd risulta lievemente in crescita» ma anche che «il calo della Lega risulta ridimensionato». Evidenti le altre tendenze: «La rapida ascesa di Fratelli d’Italia (primo partito al sud nel centrodestra), il crollo di M5s e la discesa costante di lungo termine».
I risultati delle comunali non spostano molto. Nei quindici capoluoghi di provincia la situazione resta in sostanziale parità, otto finiscono al ballottaggio. Si premia il buon governo dei sindaci uscenti (Venezia al primo turno) e si registra una frenata per Arezzo (il centrodestra è costretto al ballottaggio) e per Reggio Calabria (Falcomatà, uscente, centrosinistra va al ballottaggio con il leghista Antonino Menicucci). L’analisi del voto di You Trend fissa la classifica dei voti nelle sei regioni: Pd al 24%; Lega al 16,8; Fdi al 12,9; lista Zaia al 12,4; M5s all’8,9; Italia Viva al 5,1. Con due importanti conferme tra i sindaci: Ciro Bonajuto a Ercolano, Palazzi a Mantova. Ora tutto dipende da Conte: saprà far pesare il maggior valore del Pd rispetto a quello dei 5 Stelle nelle scelte di governo? Zingaretti deve incalzarlo. Non ci sono più né alibi né scuse.
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