Un’aggressione di stampo razzista non è la stessa se avviene nel Paese che non ha mai conosciuto mozioni e normative discriminatorie o, invece, in quello che le ha viste stabilirsi. Non cambia il fatto puro di quella violenza: ma cambia il modo in cui essa ridonda a sfregio della civiltà che vi assiste. In un caso, è l’inedito scandaloso che oltraggia un ambiente civile vergine e attonito; nell’altro, è la riproposizione angosciante di una realtà che, riproponendosi, non può dirsi pregressa. In un caso è possibile dire: “Che questo non si ripeta”. Nell’altro, no: perché si è già ripetuto.
È con questo criterio che la riproposizione della violenza razzista dovrebbe essere considerata nei Paesi che già l’hanno conosciuta, prodotta, o perfino messa nella legge. Ed è quindi con questo criterio che la violenza antisemita dovrebbe essere considerata nel nostro Paese, che quella violenza ha coltivato e reso sistematica, ordinamentale e, letteralmente, nazionale.

L’inchiesta del Riformista sull’attentato antisemita del 1982, e sulle possibili aree oscure dei fatti e delle omissioni che l’hanno preceduto, o che addirittura hanno contribuito a prepararlo, non ha solo il pregio di un’importante opera di illuminazione: ma anche quello di rendere possibile una ricognizione morale sulla società abbastanza noncurante davanti all’oscenità di un attacco antisemita a poca distanza da dove, giusto qualche decennio addietro, furono scritte le leggi razziali, e proprio nei luoghi dove gli ebrei erano rastrellati. Di là dalla retorica corrente, trionfante in qualche commemorazione solitamente stracca o nelle denominazioni altisonanti di certe commissioni parlamentari, l’Italia ha un rapporto disturbato con ciò che è stata in quegli anni non troppo lontani. Deve essere considerato, perché rischia di sfuggire: molti, tra gli uomini e le donne che quel giorno appresero dell’attentato in cui fu ucciso un bambino ebreo, erano senzienti e consapevoli quando, pochi lustri prima, il loro Paese toglieva i diritti agli ebrei e li faceva infilare nei vagoni piombati.

Riconoscere che quell’attentato non è stato diffusamente risentito come un affronto intollerabile proprio perché avvenuto in quel medesimo Paese, e che questa mancanza denuncia il persistere di un gravissimo difetto di maturità civile, costituirebbe il primo passo. Ed è quello che renderebbe dovuto, e non procrastinabile, il secondo: la richiesta che si faccia chiarezza sulle inquietanti ipotesi di cui ha dato notizia questo giornale.