Nelle epoche buie, i pochi fari accesi fanno una luce fioca. Perché sono tempi di bianco e nero, e il chiaroscuro non fa notizia. Così, i messaggi del Papa e di Sergio Mattarella al meeting di Rimini passano inosservati. I giornali li riferiscono e i politici li accolgono senza commento, come veline prive di spessore. Eppure, mentre Bergoglio esorta alla fede autentica e non di facciata, il cattolico Mattarella richiama il valore più laico e civile della nostra epoca, che è anche il più dimenticato: “L’essenziale è rimettere al centro la persona, il desiderio di vita e di pienezza nella relazione con la comunità. Perché l’essenziale non sta nell’io separato e autosufficiente, ma nell’incontro con l’altro, nella scoperta delle verità di cui l’altro è portatore”.

La persona, la relazione, le verità dell’altro. Sono le basi di una Repubblica in salute, e le chiavi per scardinare le barriere che sempre più spesso eleviamo verso chi non la pensa come noi. In tempo di guerra si serrano i ranghi, è vero. Ma se la guerra è contro le dittature che negano ogni pluralismo e ogni diversità, allora la nostra resistenza deve fermarsi sulla soglia del rispetto del dissenso. Altrimenti il rischio sempre più tangibile è che, se pure vinceremo la guerra delle armi respingendo l’assalto di zar e ayatollah, perderemo quella dei valori fondanti. Perderemo noi stessi.

È un tema che per fortuna sta uscendo dai cenacoli ristretti. Federico Rampini ha parlato del “suicidio occidentale”, perseguito dalla cultura woke e dalle sue censure del pensiero non allineato. La premessa sarebbe una sorta di colpa originaria delle democrazie, quella di esistere e ancor peggio di essere esistite. E negli scorsi giorni Francesco Borgonovo su “La Verità” ha aperto un dibattito molto vivace. Carlo Freccero ha citato il “pensiero unico neocoloniale”, strumento di una volontà di dominio che renderebbe necessario imporre la propria verità alla realtà dei fatti. La radiografia di Massimo Cacciari non lascia molti spiragli: abbiamo perso il tratto più vivo della nostra cultura, quello fatto di ironia, paradosso, senso critico, ricerca continua.

Dall’alto della nostra presunzione, giudichiamo e ripudiamo persino il nostro passato con la cancel culture. E a chi si discosta dalle opinioni dominanti riserviamo odio e ormai persino derive penali. Per Cacciari, il fatto più grave è che a gestire questo declino del pensiero plurale sono proprio quelle élites che dovrebbero difenderlo ed esaltarlo. Dice Rampini: “Secondo questa dittatura ideologica, noi occidentali non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni. Abbiamo solo dei crimini da espiare”.

Le élites sono le stesse combriccole che Karl Popper – uno dei più lungimiranti maestri della moderna libertà – vedeva come un pericolo, perché capaci di auto-investirsi di poteri assoluti e taumaturgici. Come nella visione di Platone e poi in quella del determinismo marxista, la supremazia degli ottimati diventa la più pericolosa delle gabbie e la più potente nemica della società aperta, fatta di tante idee che si incontrano e scontrano e che crescono proprio da questo apparente caos di voci discordi.

E a proposito dei magnifici paradossi con cui siamo diventati felicemente grandi: l’Intelligenza Artificiale – così spesso accusata di minacciare la creatività umana – è rimasta l’unica che ascolta e chiede scusa, che impara da sé stessa, dai suoi errori, dall’interazione con noi. Un prompt ci salverà?