Che la globalizzazione abbia reso ancora più centrale il ruolo delle spie, non lo dobbiamo certo scoprire interrogando la Sibilla Ellespontica del pavimento del Duomo di Siena. La globalizzazione ha infatti reso fondamentali le decisioni veloci, per cui chi dispone prima delle giuste informazioni riesce a scegliere meglio. Sotto questo aspetto il ruolo dell’intelligence, sempre fondamentale nella storia degli uomini e degli stati, adesso lo è molto di più. Dopo l’ecatombe della Seconda guerra mondiale, che il nostro paese ha perso, e che spiega tanto di quello che è accaduto fino a oggi, il conflitto tra le superpotenze si combatteva a colpi di spie, che raccoglievano segreti politici e industriali, oltre che personali. “Le vite degli altri” è un grande film degli ultimi anni che si può accostare al “Ponte delle spie” per descrivere quella plumbea stagione.

Lo scambio di spie

Lo scambio di spie apparso ieri sui media, definito “il più grande dai tempi della Guerra fredda” non dovrebbe affatto sorprendere. L’intelligence è più decisiva che mai e c’è chi sostiene che la guerra fredda non sia mai terminata, come ha argomentato l’anno scorso il ricercatore Domenico Vecchiarino in un bel volume pubblicato da Rubbettino, mentre, sempre per lo stesso editore, l’ambasciatore Sergio Vento ha appena dato alle stampe il libro “Il XX secolo non è finito”. Pertanto, alcune dinamiche di lunga durata continuano a permanere nella metamorfosi del mondo che però già prefigura l’inevitabile ibridazione tra uomo e macchina. Anche in questo passaggio inedito dell’umanità, l’intelligence assume una dimensione speciale, rappresentando la forma più raffinata di intelligenza umana, perché consente di andare oltre le apparenze: circostanza che l’intelligenza artificiale, che è priva di corpo, non potrebbe mai raggiungere.

L’intelligence, come salvaguardia dell’umano nel confronto con l’algoritmo, può valorizzare le potenzialità finora non conosciute del nostro cervello, amplificandone la capacità di visione, esperienze messe a frutto da Steve Jobs, che ha cambiato il mondo inventando l’iPhone. Poiché nessun fenomeno si manifesta da solo, occorre riflettere su come adesso i governi utilizzano l’intelligence, facendola intervenire al loro posto nel dibattito pubblico e utilizzandola a volte come un grande ombrello per coprire sia le responsabilità che le inadeguatezze. In occasione dell’assegnazione del quarto premio “Francesco Cossiga per l’intelligence” alla brillante Elisabetta Belloni, il 4 ottobre dell’anno scorso avevo detto che sui Servizi aleggiavano tanti luoghi comuni, “molti dei quali veri”. Ma, secondo me, erano molti di più quelli falsi. E il più falso di tutti era che l’intelligence fosse in grado di fare e prevedere qualunque cosa. Tre giorni dopo c’è stato l’attacco di Hamas a Israele nella Striscia di Gaza e, come si vede, anche ai più sprovveduti capita di indovinare qualcosa.

Il paragone

Ieri su Repubblica è stato intervistato Robert Bauer, un ex agente segreto autore del best seller “Dormire con il diavolo” che ha ispirato nel 2005 il film “Syriana” di Stephen Gaghan, dove si descrive il crogiolo esplosivo del Medio Oriente, in quella confluenza tra Europa e Asia che rappresenta geopoliticamente il centro della terra, da Alessandro il Macedone fino ai nostri giorni. Ma leggendo la notizia dello scambio delle spie a me è venuto in mente un altro film: “Nessuna verità” di Ridley Scott. Infatti, ne ricordo una frase pronunciata dal capo dei Servizi giordani Hani Salaam che dice al suo interlocutore statunitense: “Le vere operazioni di intelligence rimangono segrete per sempre. Voi americani siete incapaci di segretezza perché siete una democrazia”. Le democrazie sono in crisi, a causa della inadeguatezza delle proprie rappresentanze.

Ma oggi le democrazie hanno grandi responsabilità. Secondo Yuval Noah Harari, se il processo dell’intelligenza artificiale non verrà ben guidato, corriamo il rischio di avere una disuguaglianza sociale senza precedenti, addirittura con l’avvento di due distinte razze umane: una ristretta minoranza che utilizzerà l’intelligenza artificiale e le moltitudini che ne saranno guidate.
Dunque, la democrazia potrebbe rappresentare non solo la meno imperfetta forma di governo, ma ancor di più la meno imperfetta forma di giustizia sociale. Coltiviamo quindi la democrazia, formando prima e selezionando poi élite in grado di fronteggiare quelle degli stati autoritari, delle multinazionali finanziarie, delle organizzazioni criminali e dei gruppi terroristici.

Mario Caligiuri

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