Dal 2000, quindi ormai da 24 anni, la scuola pubblica italiana è articolata ex lege nei due rami della scuola pubblica statale e della scuola pubblica paritaria. Ricordiamo, ancora una volta, che la qualifica di pubblico è attribuibile a qualsiasi servizio che vada incontro ai bisogni dei cittadini, indipendentemente da chi gestisce quel servizio. Id autem re non expeditur: infatti, a distanza di, ormai, quasi un quarto di secolo, ciò che la legge prevede non è stato attuato, perché i governi che si sono succeduti non hanno trovato le risorse finanziarie (non hanno voluto?), costringendo i genitori che scelgono la scuola paritaria a pagare la retta richiesta, per forza di cose, dalla scuola paritaria, dopo aver pagato le tasse per un servizio, la scuola statale, del quale non si avvalgono. Da notare che la Costituzione riconosce ai genitori il diritto alla libertà di scelta educativa, ossia a scegliere a costo zero la scuola per i figli. Evidentemente la Costituzione e la legge non sono state e non sono ritenute sufficientemente autorevoli dai diversi governi e da tutte le forze politiche. Un paradosso, ovviamente, ma sappiamo che l’Italia è costruita sul paradosso. Per dare l’idea della gravità della situazione basta pensare che, ormai, contiamo ogni anno la chiusura di più di 200 scuole paritarie. Nel 2007 le scuole paritarie sul territorio nazionale erano 13.252 con 1.245.346 studenti: i dati di oggi, ossia relativi all’anno scolastico in corso, ci dicono che le scuole sono scese a 11.426 con 770.130 studenti. In sostanza hanno chiuso 1.826 scuole, con una perdita di studenti pari 475.216 unità.

Il pluralismo educativo risulta, di conseguenza, gravemente compromesso, soprattutto al sud, dove la percentuale va dal 4 al 10%. Percentuali davvero irrisorie. A pagarne le conseguenze sono ovviamente i fragili, siano essi i poveri, i disabili, coloro che abitano in territori economicamente più svantaggiati. La chiusura di una scuola paritaria, dunque, rappresenta un grave vulnus per tutta la società, in particolare per una società democratica, quale la nostra si pregia di essere: infatti il pluralismo educativo è garanzia di libertà, di un esercizio pieno e consapevole dei diritti della persona. È prassi consueta dei regimi totalitari attuare politiche mirate all’annullamento del pluralismo educativo e all’attuazione di politiche di monopolio educativo: gli Stati sorti dopo il crollo delle dittature comuniste dell’est Europa hanno riconosciuto, prima sulla carta e poi nei fatti, il diritto alla libertà di scelta educativa dei genitori.

Viviamo, pertanto, una situazione di reale emergenza che mi spinge a rivolgere un appello, l’ennesimo, al governo affinché, finalmente, possa intervenire definitivamente, sanando una situazione di totale iniquità. L’attuale governo – va riconosciuto –  si mostra sensibile al problema sia nelle dichiarazioni del ministro Valditara che, ovviamente – secondo la Legge – riconosce il servizio pubblico della scuola paritaria come è per la scuola statale, sia nelle dichiarazioni della premier, onorevole Giorgia Meloni, che, nel corso dell’ultima conferenza, ha parlato di borse di studio e ha stanziato, nella legge di Bilancio, 70 milioni di euro per il comparto disabilità e, in aggiunta, 50 milioni di euro per le scuole dell’infanzia. Passi importanti. Sed non sufficit. Purtroppo oggi il governo può solo prendere atto della situazione: essendo ormai gravemente compromesso il pluralismo educativo, occorre solo confidare in nuovi fondatori, uomini e donne che fondino nuove scuole paritarie soprattutto nel Sud e nelle periferie del Paese. Ai sensi del Costo Medio Studente un allievo costa euro 7.000 e per gli allievi della scuola paritaria il governo stanzia poco più di 700 euro annui pro capite. Chi paga la differenza? Le famiglie, ormai impossibilitate a pagare le tasse prima e le rette poi? Le scuole paritarie che, appesantite dai costi, sono costrette a chiudere o ad applicare rette da 7.000 euro annui, diventando loro malgrado classiste, per poi sentirsi accusate di essere “scuole per i ricchi”? Le paritarie pagano il buon senso di non chiudere, condannando il paese al monopolio educativo, con l’accusa più infamante di aver tradito le ragioni di fondazione e cioè “essere per tutti”. Occorre ripetere senza tregua che le scuole paritarie e le famiglie che le scelgono, per l’assurda logica tutta italiana della sussidiarietà al contrario, fanno risparmiare allo stato italiano 6 miliardi di euro annui e che, a fronte della chiusura delle 11.426 scuole paritarie, lo Stato italiano dovrebbe sostenere oltre 5 miliardi di euro annui per assorbire nella scuola statale i loro allievi.

Il monopolio educativo rappresenta un danno sociale ed economico senza precedenti. Qual è la ragione di tanta follia socio-economica? Ideologia o deliberata intenzione di non emancipare i poveri. Il mio appello non è rivolto solo al governo, ma anche alla CEI: ricordiamo che, durante l’emergenza pandemica, la CEI era intervenuta con un piano di misure di sostegno economico alle famiglie che avevano scelto una scuola paritaria. Beninteso: l’intervento della CEI non è auspicato sul falso concetto secondo il quale le scuole paritarie sono le scuole dei preti e delle suore e, di conseguenza, la CEI deve intervenire. Certo, le scuole paritarie cattoliche sono realtà della Chiesa, tuttavia la scuola paritaria cattolica non è una scuola confessionale, è aperta a tutti, a condizione dell’accettazione dell’offerta formativa. L’intervento della CEI è piuttosto auspicato in virtù del fatto che il pluralismo educativo è un principio di grande umanità la cui difesa interpella tutte le forze della società, compresa la Chiesa. La costituzione conciliare di carattere pastorale Gaudium et spes, infatti, afferma che chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo. Ecco spiegato l’appello anche alla CEI, affinché anche lei si unisca nella comune battaglia di civiltà che vede nel sistema scolastico francese l’exemplum.

La Francia che ha fatto della laicità il fondamento dei propri ordinamenti consente che il genitore sia libero di scegliere la scuola per il proprio figlio, detto diversamente, il genitore non paga se sceglie una scuola paritaria, e consente che il docente sia libero di scegliere la scuola dove prestare servizio, visto che il suo stipendio viene erogato dallo Stato, indipendentemente da dove insegna. Se l’intervento richiesto non sarà realizzato, è facile capire quale sarà lo scenario nell’immediato futuro: le scuole paritarie che avranno resistito dovranno, per potere continuare a farlo, chiedere rette pari alla cifra individuata ogni anno dal ministero quale Costo Medio Studente, cifra che, alla data attuale, è calcolata in euro 7.500. La presidente del Consiglio si è detta favorevole all’introduzione di sussidi, a titolo di borse di studio, per gli studenti delle scuole paritarie, richiamandosi presumibilmente al modello introdotto da regioni quali Lombardia e Veneto che prevedono misure di sostegno al pluralismo educativo. Si tratta certamente di una proposta da accogliere come costruttiva e proficua, tuttavia occorre intervenire per risolvere la situazione in modo definitivo e pienamente corrispondente al nostro impianto giuridico. Certamente occorrono tanto coraggio, da una parte, e, dall’altra, una profonda onestà intellettuale che rifiuti qualsiasi visione infeudata dall’ideologia. Del resto chi decide di dedicarsi alla politica sa che questo è il suo compito. Almeno sulla carta.

 

Suor Anna Monia Alfieri

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