Il Pm parlò male del colonnello, ma è vittima a dover risarcire…

L’applicazione “alla lettera” del regolamento generale dell’Arma, qualche volta, gioca brutti scherzi. È quanto accaduto al colonnello Raffaele Fedocci, dal 2002 al 2005 comandante provinciale di Catanzaro. Tutto inizia a marzo del 2003, quando il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Gerardo Dominijanni decide di convocare per una riunione “operativa” Fedocci e il dirigente della locale squadra mobile. Il colonnello, fra i più stretti collaboratori dell’allora pm Luigi de Magistris nell’indagine Poseidone, decide di delegare il comandante del Nucleo operativo del Reparto operativo, ossia il “responsabile del servizio di PG a livello provinciale”, figura posta alle dipendenze funzionali della Procura esattamente come il capo della mobile della Questura. Dominijanni la pensa diversamente dal regolamento generale dell’Arma e segnala l’accaduto all’allora procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna che cerca di stemperare i toni.

Passa qualche mese, siamo nel 2004, e si conclude una maxi indagine contro l’ndrangheta condotta dai carabinieri sotto la direzione dello stesso Dominijanni. Pur non avendo avuto alcun ruolo, il procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi decide di inviare una nota, sottoscritta anche da Dominijanni, al comandante generale dell’Arma.
Dopo aver auspicato una ricompensa per il personale che aveva operato, i magistrati segnalano anche «l’atteggiamento assunto da Fedocci che più volte si è posto in contrasto con le direttive e le iniziative in materia di coordinamento e di contrasto alla criminalità organizzata assunte da questo Ufficio». Il Comando generale, ovviamente, dispone immediati accertamenti. Il procuratore di Catanzaro parlando con il generale Eduardo Centore, comandante della Legione carabinieri Calabria, in controtendenza al testo della lettera, manifesta «i più convinti sentimenti di piena ed incondizionata fiducia nonché di gratitudine per l’attività sviluppata da Fedocci, dichiarandosi senz’altro disponibile a sottoscrivere un attestato di indiscutibile considerazione verso l’ufficiale».

È il turno ora delle carte bollate. Il primo a scendere in campo è Fedocci, a ottobre del 2005, con una querela per diffamazione nei confronti del solo Dominijanni, in relazione a quanto riferito dal procuratore nel colloquio con Centore. L’atto viene prima inviato alla Procura di Salerno e nel 2008 trasmesso a Roma per competenza territoriale. La Procura capitolina propone una richiesta di archiviazione a cui Fedocci si oppone. Al secondo tentativo il giudice dispone l’imputazione coatta nei confronti di Dominijanni. Il processo si conclude con l’assoluzione del magistrato “perché il fatto non sussiste”. Il giudice ritenne in quel caso che lo scritto fosse stato diretto solo al comandante generale e, pertanto, carente della “diffusività” richiesta per poter integrare la diffamazione.

Fedocci, che non si era costituito parte civile, chiede allora alla Procura generale di fare appello. Rilevata preliminarmente «un’anomalia relativa alla mancata imputazione del procuratore della Repubblica che a pari del sostituto, aveva sottoscritto la missiva», la Procura generale sottolinea che trattandosi di uno scritto diretto al vertice dell’Arma avrebbe potuto essere conosciuto da terzi, come poi è effettivamente avvenuto. Nonostante ciò, la Procura generale nota che il reato di diffamazione si è già prescritto e che pertanto quest’ufficio, “anche appellando, non potrebbe avanzare alcuna pretesa punitiva nei confronti di Dominijanni”. Ad ottobre 2013 tocca a Dominijanni replicare con un ricorso d’urgenza al Tribunale di Locri con il quale, tra le altre cose, evidenzia le conseguenze patite «sotto il profilo della sofferenza psichica, della lesione della reputazione personale e professionale», con conseguente richiesta risarcitoria per 500mila euro.

A luglio 2015 il giudice, dopo avere ritenuto “non configurabile nel caso in esame il delitto di calunnia che tuttavia, non esclude una responsabilità del resistente” , scrive che «i fatti in precedenza esposti dal ricorrente se non sono idonei ad integrare il dolo della calunnia (…) rileva la circostanza che la querela non sia stata presentata anche nei confronti del procuratore della Repubblica se è vero, come è vero, che il resistente si sia sentito diffamato dal contenuto della missiva di cui lo stesso risulta essere il principale autore (…) pertanto va affermata una responsabilità colposa del resistente ritenuta presuntivamente fonte di danni non patrimoniali per il ricorrente”. Da ciò la condanna di Fedocci a risarcire Dominijanni con 12mila euro oltre ad interessi legali.

In altre parole, il giudice ha utilizzato un elemento che la Procura generale di Roma aveva considerato “una anomalia”, la mancata imputazione del procuratore della Repubblica, come una negligenza di Fedocci che aveva denunciato un fatto “vero” chiedendo all’Autorità giudiziaria di valutare se nella lettera sottoscritta da Dominijanni vi fossero gli estremi della diffamazione. Fedocci a settembre 2015 si è appellato alla Corte di appello di Reggio Calabria. Dopo cinque udienze sempre rinviate il 6 aprile 2021 è prevista la sentenza. Salvo colpi di scena dell’ultima ora.