Un Sud che attrae investimenti. Un Sud che garantisce servizi sociali. Un Sud più sostenibile. Sono i quattro paradigmi progettuali del PNRR che al Mezzogiorno destina 80 miliardi (ossia il 40% della spesa totale) con l’obiettivo di fondo di “ridurre il divario di cittadinanza”. Detto in altri termini: limitare i danni per chi ha avuto la sfortuna di nascere sotto la linea del Garigliano. E quindi giù con le declinazioni. Sud connesso significa alta velocità e sistema portuale, digitalizzazione, viabilità interna. Un Sud che attrae investimenti vuol dire riforma delle Zes, ecosistemi dell’innovazione, trasformazione del Mezzogiorno in un hub energetico euromediterraneo.

Nel Pnrr c’è spazio anche per i servizi sociali: piano asili e tempo pieno; incremento delle infrastrutture sociali; politiche del lavoro. E infine, in tema della sostenibilità, ecco le variazioni: economia circolare e gestione della risorsa rifiuti; acqua e tutela del territorio; transizione energetica e mobilità sostenibile. Ma chi pensa che basti aprire le varie caselle e metterci dentro dei numeri (dei miliardi di euro parte a fondo perduto e parte a debito), si sbaglia. I soldi sono l’ascissa dell’asse artesiano del PNRR. Poi c’è una ordinata, di cui poco si parla salvo quando lambisce il Consiglio dei ministri, e finisce in prima pagina a causa della solita dose di fibrillazioni dei partiti. Come nel caso ora in corso della “Legge annuale della concorrenza”, per la quale il premier Mario Draghi ha chiesto (imposto?) l’approvazione entro il corrente mese di maggio, scrivendo una sorta di ultimatum al presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Mossa irrituale ma necessaria. Se il capo del governo scrive direttamente alla seconda carica dello Stato perché il provvedimento che giace in commissione da sei mesi, è proprio perché il PNRR non è l’elenco della spesa al supermercato degli incentivi, ma una leva per la modernizzazione del Paese. Il primo passo fondamentale? La divergenza strutturale tra le due macro aree del Paese, invariata da un secolo e mezzo e che il combinato di pandemia-inflazione-guerra-sanzioni rischia di ampliare in un Paese da sempre a due velocità. Ma andrebbe sottolineato che il Pnrr non è solo un pacchetto di investimenti per imprese e infrastrutture quanto un percorso di modernizzazione del Paese, che passa per la riduzione del “divario di cittadinanza”. Non si tratta solo di bilanciare diversamente la dotazione di risorse (e la capacità di spenderle) ma mettere a terra riforme che possano potenziare equità, efficienza e competitività del nostro sistema.

Le riforme sono infatti parte integrante del Piano, perché fondamentali per l’attuazione degli interventi e vincolanti per la concessione dei finanziamenti. Giova non dimenticare che ne sono previste tre tipi: “riforme orizzontali”, come della Giustizia e della Pubblica amministrazione. Le “riforme abilitanti”, qual è appunto La legge annuale per il mercato e la concorrenza. Infine le riforme “settoriali” quali, ad esempio, la semplificazione e accelerazione di procedure per realizzare interventi per l’efficientamento energetico. La guerra magari tra un mese o due sarà finita, ma nella battaglia per modernizzazione del Paese è bene non cessare mai il fuoco.