«Le sfide che l’Europa ha davanti sono enormi». Per affrontarle – e perché si affermi una strategia liberalsocialista – «serve l’union sacrée dei riformisti, sia quelli dentro al Pd, sia quelli che preferiscono restarne fuori». Così Michele Salvati, economista e politologo italiano che per primo ha teorizzato il Partito democratico come partito riformista a vocazione maggioritaria. Nel 2021, in coppia con Norberto Dilmore, ha pubblicato il volume Liberalismo inclusivo. Proprio con Salvati continuiamo il ciclo delle nostre interviste sul riformismo.

Cominciamo subito a fare chiarezza: che cosa dobbiamo intendere per riformismo?
«Il riformismo è la liberaldemocrazia di sinistra. È ciò che, in un libro pubblicato nel 2021, io e Norberto Dilmore chiamiamo “liberalismo inclusivo”. Gli obiettivi sono l’affermazione di un regime liberale e la tensione all’inclusione sociale. Da Bernstein a Rosselli sono stati sempre questi gli obiettivi dei liberalsocialisti».

Secondo il suo coautore Dilmore, il paradigma neoliberista – che escludeva la possibilità di una crisi sistemica – è stato “falsificato” dalla grande crisi finanziaria del 2008-2009. Ma se i riformisti sono dei liberaldemocratici qual è il loro spazio nel nuovo contesto?
«La liberaldemocrazia non è necessariamente legata al neoliberismo, che va inteso come un fondamentalismo del mercato. In questo momento, tuttavia, non esistono le condizioni storiche che hanno favorito la stagione dei “Trenta gloriosi”, ovvero il trentennio di progresso sociale del secolo scorso che ha sconfitto il fondamentalismo di mercato. Oggi è molto difficile essere liberaldemocratici: nessuno vede oltre la confusione del momento».

L’asse tradizionale destra/sinistra rappresenta ancora l’asse portante del sistema politico? O è diventata più rilevante la distinzione tra chi vuole l’integrazione europea e chi opta per il sovranismo? È vero che il bipolarismo italiano si è trasformato in “bipopulismo”, un confronto iperpolarizzato tra posizioni massimaliste di destra e di sinistra dove non c’è più spazio per le posizioni riformiste?
«Il bipolarismo destra/sinistra resta un aspetto essenziale del conflitto politico di ieri e di oggi. Certo, nella lunga storia del capitalismo si presenta in forme diverse. È ovvio che se l’idea della sinistra è quella di rivoluzionare la società sarebbe un approccio sbagliato: il comunismo è morto e sepolto. Ma se la sinistra si comprende nelle ragioni del socialismo liberale va confermata e sostenuta. Insomma, i nemici da battere sono il populismo e l’iperpolarizzazione, non certo il bipolarismo tra destra e sinistra. Il confronto tra i liberalsocialisti a sinistra e i liberalconservatori a destra resta basilare ed è auspicabile».

In occasione delle elezioni europee, lei ha fatto una dichiarazione di voto esplicita per il Pd a scapito del Terzo Polo. Può spiegarci le sue motivazioni? Come dovrebbero schierarsi i riformisti?
«Al di là delle disastrose conseguenze pratiche – con la dispersione del voto di 1,7 milioni di cittadini – l’errore più importante di Renzi e Calenda è stato proprio quello di non schierarsi sull’asse destra/sinistra, dando l’idea che le due posizioni siano indifferenti e che il posizionamento dei loro partiti sia solo frutto di convenienza. Viceversa, ho già detto che la dicotomia destra/sinistra resta profonda. Chi si riconosce in una concezione liberalsocialista deve allearsi a sinistra, anche con chi di liberale ha molto poco, con l’obiettivo che la visione liberale prevalga. È una strategia che, cambiando i protagonisti, vale anche a destra».

Quindi non esiste uno spazio per i partiti centristi…
«A maggior ragione per dei centristi con una storia di sinistra come Renzi e Calenda: non saranno mai credibili come centristi. Così, l’ambizione di strappare voti alla destra si fa difficile: quegli elettori non si fideranno mai».

Tuttavia, dopo l’ultimo congresso del Pd è un po’ complicato riprendere il dialogo…
«Il congresso del Pd è stato fallimentare perché è stato organizzato per far fuori Renzi e cacciare i riformisti. Un’operazione da dimenticare. E oggi l’accusa del Pd a Renzi e Calenda è che, così facendo, indeboliscono la sinistra. Pertanto se questi riformisti preferiscono restare indipendenti è comprensibile, ma se si impegnano a votare con il Pd vanno accettati. Del resto, anche dentro al Pd ci sono tanti riformisti che dovrebbero costituire una union sacrée con quelli che, sentendosi cacciati, restano fuori, visto che condividono le stesse idee».

Crescita, lavoro, impresa, progresso: queste parole chiave sembrano assenti dal discorso pubblico del centrosinistra. L’attuale segreteria del Pd insiste molto sui diritti civili e si limita a rivendicare maggiori risorse per la sanità e la scuola. Possibile che non si sappia fare meglio?
«È tutto vero: bisogna far vincere l’ossimoro dei “centristi di sinistra”, proponendo cose ragionevoli in un contesto dai complicati equilibri. Le riforme necessarie sono spesso costose e impopolari. Bene dunque che la Schlein insista su certi temi, ma sulle riforme dovrebbe farsi aiutare dai riformisti interni ed esterni al Pd. Purtroppo siamo in una fase in cui, sia a destra che a sinistra, è difficile affrontare discussioni serie su temi che non siano di breve periodo».

Difficile affermare una strategia liberalsocialista in un simile contesto…
«Una strategia liberalsocialista era già difficile quando scrivemmo con Dilmore il libro “Liberalismo inclusivo” al tempo del Covid: è diventata molto più difficile adesso, a livello mondiale, europeo e livello italiano. Oggi dobbiamo tener conto non solo della grande incognita delle elezioni presidenziali americane e della crescente tensione tra grandi potenze, ma della guerra in corso in Ucraina e delle ripercussioni che avrà in Europa».

Che cosa intende dire?
«Anche se si dovesse arrivare a qualche forma di armistizio, chi pagherà per i costi delle distruzioni causate dalla guerra, se si vuole che quel disgraziato paese non precipiti nel caos e venga retto da uno stato integrabile nel sistema politico liberale dell’Unione europea? Dove troverà l’Europa le risorse per affrontare un’emergenza ambientale sempre più grave? E dove quelle necessarie a partecipare come attore importante alla grande rivoluzione tecnologica in corso, che la vede già molto arretrata rispetto a Stati Uniti e Cina?».

Qual è il compito dei riformisti in tutto ciò?
«Anche se attuate nel modo più efficiente, le spese necessarie a raggiungere questi obiettivi ammontano a cifre enormi che andrebbero sottratte a quelle che oggi i paesi europei giudicano a malapena sufficienti a garantire un adeguato consenso democratico interno. Sull’Europa dobbiamo intervenire noi, non ci saranno più i soldi dell’America. L’austerità del passato fa ridere rispetto ai compiti futuri, i riformisti dovranno ricordarlo: razionalizzare la spesa pubblica sarà sempre più necessario».

Ok, le sfide sono enormi. Da dove si comincia?
«Sia una sinistra che una destra riformiste e realistiche dovrebbero convincere una parte maggioritaria dei loro elettori che uscire da una traiettoria di declino comporta uno sforzo collettivo grande e protratto a lungo. Che risultati tangibili non saranno evidenti nel breve periodo, nel quale dovranno essere prese decisioni strategiche e si dovranno ridurre quanto è possibile le aree di maggiore sofferenza sociale. E tutto ciò dovrebbe avvenire mentre le due coalizioni avverse si confrontano su programmi il cui merito per un comune cittadino è assai difficile da comprendere».

C’è il rischio che entrambe le parti ricorrano a promesse demagogiche e irrealizzabili e che si inasprisca la polarizzazione…
«Proprio per questo la presenza dei nostri due ossimori – i centristi di destra e i centristi di sinistra – può giocare un ruolo importante. Forse sufficiente a ridurre il rischio della polarizzazione e della demagogia a un livello affrontabile anche dal ceto politico che abbiamo, se ispirato da un obiettivo di salvezza nazionale. Trascinare a lungo l’attuale situazione non fa che peggiorarla e renderla irreversibile».

Per affrontare al meglio le sfide che ha elencato servirebbe portare a termine quelle riforme istituzionali di cui il paese ha bisogno da decenni. Qual è il contributo dei riformisti?
«Bisogna creare dal basso le condizioni di consenso che Napolitano e Mattarella hanno creato dall’alto con Monti e Draghi costruendo una maggioranza di governo. I riformisti dovrebbero creare queste condizioni impostando in modo corretto la riforma del premierato. Ci sono avvisaglie di buon senso nelle proposte emerse da alcune associazioni riformiste di destra e di sinistra (Fondazione Magna Carta, Libertà Eguale, IoCambio e Riformismo e Libertà). Serve una riforma davvero condivisa, meglio evitare un elemento di conflitto e di tensione come potrebbe essere il referendum. Sarebbe un meritevole passo in avanti: poi lo stesso metodo potrebbe estendersi ad altre riforme».

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient