Nel dibattito in corso sul Riformista a proposito dell’eventuale terzo polo, che preferisco chiamare polo riformista liberale, mi pare che tutti gli interlocutori fin qui intervenuti diano più o meno per scontata una cosa che scontata affatto non è. Vale a dire che il destino naturale di questo nuovo soggetto debba essere quello di rafforzare con una gamba di centro il cosiddetto campo largo. Che sia esso a vocazione maggioritaria, come mi pare auspichino Picierno e Pascale, o che sia invece più complementare, come mi pare auspichi Bettini, a un Pd marcatamente orientato a sinistra.
L’impossibilità di alleanza con il campo largo
Forse è bene parlarsi chiaro. Così come stanno le cose, ovviamente mio personale parere, non vedo alcuna condizione per un’alleanza elettorale fra un eventuale nuovo soggetto riformista liberale e il cosiddetto campo largo. L’obbiettivo di questo soggetto non è e non può essere semplicemente la sconfitta del Governo Meloni in nome di una presunta emergenza democratica, o di un 25 aprile divenuto per altro ormai il luogo di ritrovo dei cosiddetti antifascismi militanti. Certamente il Governo Meloni è ben al di sotto delle esigenze di cambiamento di questo Paese. Ha tratti illiberali insopportabili, la presidente del Consiglio si comporta spesso più come la capa di una fazione che come premier di un paese.
Le ambiguità a sinistra
È assente qualsiasi robusta idea su come fare crescere l’Italia, l’innovazione è spesso vista come una minaccia. Ma le ambiguità nell’altro campo sono altrettanto forti. Anzi mi spingo a dire che su alcune questioni come il posizionamento nelle crisi internazionali, Ucraina e Medioriente, scelta atlantica, contenimento della spesa pubblica, riforma della giustizia con saldo ancoraggio ad una posizione garantista, mi pare che ci sia più condivisibile chiarezza a destra che a sinistra.
Non oso poi nemmeno immaginare che cosa possa ulteriormente succedere alle ambigue posizioni del Pd quando messe a inevitabile confronto con il resto del campo largo a cominciare dai 5 stelle e dal gruppo rosso verde di Fratoianni e Bonelli. Per non parlare di quella galassia di cosiddetti movimenti della società civile, spesso orientati ad un pacifismo irenico, alla contestazione della scelta atlantica, al supporto tal quale ai gruppi filopalestinesi.
Queste tematiche sono bene presenti nel potenziale elettorato “di centro” che non capirebbe un’intesa basata esclusivamente sull’avversione all’attuale Governo. Per questo non ho per niente capito la scelta di Matteo Renzi di volersi alleare con un Pd che ha fra i suoi scopi principali quello di affossare praticamente tutte le riforme da lui promosse quando era Presidente del Consiglio. Mi spiace, ma l’appello all’emergenza democratica ha più l’aria di un desiderio di tornare al governo ad ogni costo che la declinazione di un programma di governo innovativo e condivisibile, come auspica Picierno.
Stop ammucchiate senza principi
Questo errore drammatico e opportunista, il Pd lo ha già fatto con il secondo governo Conte, in barba ad ogni principio, e con un lascito sui conti pubblici – vedi 110 – che peserà per anni, penalizzando la spesa sociale e gli investimenti. Né mi pare ci sia la minima consapevolezza nel cosiddetto campo largo, ma nemmeno nella leadership del Pd, a parte pochi esponenti, della grandezza della sfida; seppellita sotto il perversare di slogan rituali o di richieste prive di ogni copertura.
Un’ alleanza, è stato detto, non è una composizione geometrica. E sono finiti i tempi delle ammucchiate senza principi se non quello di prendere il posto del “nemico”. Soprattutto non ci credono più gli elettori. So benissimo che la costruzione di un nuovo polo è compito arduo e che il rischio di non riuscire nell’impresa va considerato. Ma forse le idee, anche quando sono minoranza, hanno ancora un valore. Quelle del “campo largo” mi sembrano molto confuse, spesso sbagliate e onestamente poco attraenti.