L'incidente probatorio sulla maxi perizia
Il Ponte Morandi è crollato perché costruito male, ecco le prove

Il ponte sarebbe stato costruito “male”. Le indagini sul crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto del 2018 e dove persero la vita 43 persone, sono ad una svolta. Questa settimana è iniziato l’incidente probatorio sulla maxi perizia di circa 500 pagine disposta dal giudice Angela Nutini. La Procura del capoluogo ligure ha iscritto nel registro degli indagati 71 persone tra ex dirigenti, ad iniziare dall’ex ad Giovanni Castellucci, e tecnici di Autostrade e di Spea (la società incaricata delle manutenzioni), nonché dirigenti del Ministero delle infrastrutture e del Provveditorato. Fra le accuse, omicidio colposo plurimo, crollo doloso, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, omissione d’atti d’ufficio, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
Per la Procura di Genova il crollo del ponte sarebbe stato dovuto all’assenza di manutenzione “straordinaria e ordinaria”. Secondo i periti, in particolare, «la causa scatenante il crollo è la corrosione della parte sommitale del tirante della pila 9», che «ha mostrato un’evidente e gravissima forma di corrosione nella zona di attacco con l’antenna», una corrosione che «ha avuto luogo in zone di cavità e mancata iniezione formatesi nella costruzione del ponte». I periti hanno anche evidenziato che il processo di corrosione «è cominciato sin dai primi anni di vita del ponte ed è progredito senza arrestarsi fino al momento del crollo determinando una inaccettabile riduzione dell’area della sezione resistente dei trefoli che costituivano l’anima dei tiranti, elementi essenziali per la stabilità dell’opera».
La relazione ricorda poi che nel 1993, quando fu effettuata una importante manutenzione del ponte, «non sono stati eseguiti interventi che potessero arrestare il processo di degrado in atto e/o di riparazione dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del tirante Sud-lato Genova della pila 9 erano particolarmente gravi». Sempre secondo i periti, se i controlli e manutenzioni fossero stati fatti nel modo corretto, «con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell’evento». Chi doveva occuparsi della manutenzione del ponte «avrebbe dovuto avere una conoscenza adeguata di come l’opera era stata costruita, valutando la rispondenza con i documenti progettuali, cosa che avrebbe permesso di individuare il grave difetto costruttivo nell’ultimo tratto del tirante, in corrispondenza della sommità dell’antenna, consentendo di prevedere e tenere sotto controllo il processo di degrado», hanno quindi concluso i periti incaricati dal Tribunale di Genova.
Uno scenario che, però, stride con quanto accaduto negli ultimi anni. Molti professionisti che si sono interessati del ponte hanno, infatti, sempre dato una valutazione molto “tranquillizzante”. L’ingegnere Francesco Pisani, allievo di Riccardo Morandi, che eseguì il progetto di rinnovo del ponte nel 1993 attestò il buono stato complessivo dell’infrastruttura, avallando anche il sistema di retroriflettenza scelto come modello di controllo. L’ingegnere Francesco Martinez y Cabrera, titolare della Cattedra di Ponti e Grandi strutture presso la facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, che nel 1993 aveva effettuato il collaudo del ponte, fissò al 2030 la nuova attività ispettiva. Anche il Cesi (Centro elettrotecnico sperimentale italiano), uno delle più importanti società di ingegneria, nel 2016 aveva espresso una valutazione positiva.
E, per finire, il professor Carmelo Gentile nel 2017, pur sollevando dubbi su delle corrosioni di cavi secondari, non aveva ravvisato criticità imminenti per il ponte. Già nel 1993, anno in cui si decise di privatizzare la rete autostradale, il ponte Morandi era purtroppo gravemente corroso, avendo esaurito tutti i margini di sicurezza. Complicato accorgersene con i normali monitoraggi dinamici. I difetti di costruzione erano localizzati ad un metro di profondità e le ispezione visive sarebbero dovute essere precedute da scassi locali di almeno 40 cm, difficili da realizzare.
L’unica soluzione era, dunque, il “retrofittig”, già in programma. Che il ponte destasse preoccupazioni, comunque, era stato anche Morandi a sottolinearlo in due distinti rapporti nel 1979 e nel 1981. Esiste un «diffuso stato di ammaloramento», aveva scritto l’ingegnere, proponendo alcune modifiche di intervento «non sempre accolte».
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