Siamo tornati al denaro sterco del demonio. Almeno leggendo Repubblica di ieri che lancia l’allarme per la crescita in Borsa delle imprese coinvolte nel progetto del Ponte di Messina. Come se fosse opera di chissà quale speculazione o di quale manovra occulta. “Solo progetti ma quotazioni alle stelle chi già fa cassa sul Ponte che non c’è” è il titolo scelto per l’apertura di pagina 10. Molto più banalmente, in un universo normale viene salutata positivamente la prospettiva dell’inizio dei lavori di un’opera infrastrutturale fondamentale.

Che sì, sarà anche il Ponte di Salvini (dopo essere stato quello di Berlusconi), ma è soprattutto un’opera che stravolgerà in positivo l’economia del Mezzogiorno, attirerà nuovi investimenti al Sud e collegherà in maniera organica la Sicilia al continente. A Repubblica – il cui editore naviga orgogliosamente le acque dello sporco capitalismo – vorrebbero che anche gli altri sposassero la loro visione depressiva oseremmo dire luddistica. E quindi inorridiscono. Scrivono con malcelato disappunto: “le azioni delle aziende italiane, spagnole e giapponesi dentro il consorzio Eurolink, che senza il decreto Salvini sarebbe oggi su un binario morto, sono cresciute nelle rispettive Borse dal 15 al 30 per cento nell’ultimo anno”.

Probabilmente le avrebbero volute vedere fallite. A noi sembra che la crescita delle quotazioni in Borsa delle aziende impegnate nella costruzione del ponte sullo Stretto di Messina possa essere messa in relazione alla ripresa concreta del progetto dell’opera ed è una buona notizia per il sistema Paese. È il primo, o uno dei primi risvolti positivi che il Ponte produrrà. Del resto le stesse società erano state fortemente penalizzate con una legge ad hoc che nel 2013 aveva annullato i contratti ottenuti a valle di gare internazionali particolarmente impegnative che avevano coinvolto gruppi mondiali attivi nel settore delle grandi opere. Allora, forse, Repubblica ne era soddisfatta.

Inoltre, i contenziosi “multimilionari” scaturiti da quella improvvida decisione, a cui spesso si fa riferimento in modo confuso, riguardavano i mancati indennizzi previsti dalla legge e non da problematiche legate all’adeguatezza del progetto. Tanto per chiarire il tema a chi sostiene che il blocco del 2013 sia figlio della non fattibilità tecnica del ponte. Lasciando da parte le polemiche, i benefici di cui si deve tener conto non sono solo quelli derivanti dal positivo andamento delle azioni in Borsa, ma più che altro quelli che deriveranno alle imprese (quotate e non) per aver partecipato alla realizzazione dell’opera. Risultati non solo in termini economici ma anche di curriculum aziendale, di capacità realizzativa, di immagine da rivendersi sul mercato mondiale. Aspetto questo che impatterà oltre che sulle imprese anche sul sistema Paese. La costruzione del ponte sospeso più lungo al mondo genera conseguenze riassumibili in “effetto credibilità”: la ricaduta positiva sul clima di business con un maggior interesse di investitori esterni all’area, connesso al fatto che l’Italia investe nel Mezzogiorno in un’opera di assoluto prestigio tecnologico, ad elevata visibilità e valenza anche simbolica. Questo mostro tanto temuto dalla redazione di Repubblica, si chiama semplicemente sviluppo.