“Il popolo di mezzo”, il racconto dell’emigrazione italiana candidato al Premio Strega

Mimmo Gangemi ritorna in libreria con Il popolo di mezzo, un bellissimo libro in cui riprende il tema dell’emigrazione italiana in America che già aveva trattato con successo nel romanzo La signora di Ellis Island. Una “storia d’amore e di anarchia” ma anche di risentimento, frustrazione e di forte odio degli immigrati italiani verso il nuovo Continente.

Erano partiti dall’Italia, soprattutto dal Sud, per sfuggire alla secolare morsa che stringeva i contadini tra la miseria e lo sfruttamento, privandoli finanche della dignità di essere umani. Sognavano “Lamerica” ma non trovarono la “Terra promessa”. Tra questi “Masi”, un bracciante siciliano delle Madonie emigrato con tutta la famiglia pensando di trovare un minimo di benessere, oltre che un poco di dignità e di libertà che venivano negate in Italia. Invece si ritrovarono nella Louisiana, le donne a raccogliere cotone mentre i vigilanti schioccavano la frusta e gli uomini nei terreni paludosi a costruire le ferrovie in una terra dove «nei giorni caldi il sudore cola a picco, il lavoro un castigo di Dio, peggio che rivoltare cenere in un infimo girone dell’inferno. Le zanzare non mollavano la presa».

Ed in Louisiana conoscono un nuovo nemico: il razzismo. Un odioso pregiudizio razziale contro gli italiani, soprattutto quelli del Sud, considerati dagli “americani” violenti, sporchi, cenciosi, negri camuffati da bianchi, tiratori di coltello Li chiamavano “dagos” o “negritos” Dal pregiudizio razziale alla giustizia sommaria il passo è breve. Masi e la moglie, da innocenti, moriranno impiccati perché avevano osato dar soccorso ad un gruppo di “amici negri” tra cui un ferito. “Reato grave” quello di vedere nei “negri” degli esseri umani. Il dramma segnerà per sempre i figli della coppia. Tuttavia Luis, il più piccolo, si salverà grazie alla musica. Tony, l’altro figlio maschio, dichiarerà una guerra senza quartiere all’America.

In verità la sua è guerra contro il razzismo, le disuguaglianze, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Guerra contro lo sradicamento violento degli uomini. Una guerra che condurrà in nome dell’anarchia, “senza Dio, né patria, né famiglia” ed a colpi di bombe che Tony aveva imparato a maneggiare grazie al padre durante i lavori per forare le gallerie quando ancora erano impegnati entrambi nella costruzione delle ferrovie in Louisiana. Il romanzo percorre oltre mezzo secolo di storia dell’emigrazione italiana negli Usa e lo fa senza mai allentare le corde dell’attenzione. Direi che lo scrittore per tutto il romanzo usa il “passo di carica” escluse le pagine finali in cui si diffondono dolci e lievi le note di un composto “silenzio”.

I discendenti dei “dagos” si riscatteranno e, grazie ad un tenacia senza pari, entreranno nel “sogno americano” dalla porta principale. Ma «l’America era costata cara» a Masi ed alla sua famiglia. «Adesso però erano americani… ma anche italiani…». Gangemi scrive 424 pagine di amore che si mescola all’odio, di anarchia e di generosità , di violenza e di speranza. Alla fine della lettura ci si accorge che nessuna pagina è di troppo. Nessun personaggio inutile o artefatto.

Lo scrittore Raffaele Nigro proponendo Il popolo di mezzo come finalista al premio Strega interpreta certamente il sentimento di tantissimi lettori che seguono Mimmo Gangemi da tantissimi anni. Il premio sarebbe un giusto riconoscimento ad uno scrittore che partendo dal cuore dell’Aspromonte, e senza aver nessuno alle spalle, ha costruito il suo percorso lavorando con tenacia e non senza un’orizzonte: il riscatto degli ultimi. Anche il riscatto della sua gente spesso inchiodata, ancora oggi, al pregiudizio. Ieri come dagos oggi come mafiosi o ‘ndranghetisti. E per questo “impiccati”, com’è successo a Masi ed alla moglie, al palo della giustizia sommaria.