Parla il direttore del centro di giustizia minorile
“Il populismo uccide la Costituzione e i giovani in cella ne fanno le spese”, parla Giuseppe Centomani

«Le carceri, quali che siano, sono contesti pericolosi per i processi di costruzione identitaria degli adolescenti. L’esperienza della prisonizzazione è una delle poche che sovrasta la capacità di resilienza dei ragazzi e può segnare in maniera indelebile l’immagine personale». Giuseppe Centomani, dirigente del Centro di giustizia minorile di Campania, Toscana e Umbria, centra una delle questioni cruciali nel dibattito su giustizia minorile, recupero dei giovani a rischio e prevenzione della devianza minorile.
I dati contenuti nei Quaderni di ricerca, il report sullo stato delle carceri campane realizzato dall’ufficio del garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello e dall’Osservatorio regionale sulla detenzione, tratteggiano una realtà in cui si contano 977 ragazzi presi in carico dall’Ufficio di servizio sociale, 61 reclusi tra gli istituti di Nisida e Airola e 88 che frequentano i centri polifunzionali diurni di Nisida e Santa Maria Capua Vetere. Se per gli adulti il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio, per i minori lo è ancora di più. «Qui – spiega Centomani – non si tratta di inventare niente perché la nostra Costituzione e l’ordinamento penitenziario già prevedono».
L’ottica è quella di una giustizia riparativa. «È una giustizia dove ci si rende conto che il problema non è solo punire il reo, ma comporre il conflitto che si è creato fra il reo e le vittime del reato, quindi una giustizia che ha come obiettivo la ricomposizione del conflitto e la riqualificazione del rapporto tra reo, vittima e comunità che li comprende entrambi. Dunque – aggiunge Centomani – gli strumenti per mettere in atto una politica giudiziaria e una risposta penale ai reati esistono tutti, ma c’è il problema che l’organizzazione della giustizia, che comprende i dipartimenti di tribunali e magistrati, l’amministrazione penitenziaria, per gli adulti, e il dipartimento di giustizia minorile e di comunità, per i minorenni, non si possono permettere di realizzare quello che Costituzione e nuove normative prevedono e permetterebbero, perché siamo in una fase della storia italiana dove da anni si cavalca in maniera demagogica tutta la cultura securitaria, la cultura della reazione per difendersi, e questo frena una politica di decarcerizzazione, mitigazione delle pene e riqualificazione dell’intervento giuridico penale sulla questione della delinquenza».
Eppure i numeri dimostrano che meno carcere equivale a meno recidiva, che vuol dire meno reiterazione dei reati, meno delinquenza e più sicurezza. Nel caso dei minori, inoltre, il fenomeno è ancora più complesso ma è bene sottolineare che se un ragazzo, che è nell’ambito della naturale fase adolescenziale in cui ha un’idea di sé piuttosto vaga e che può cambiare man mano che incontra persone e fa esperienze diverse, viene a contatto con una risposta del contesto sociale stigmatizzante ed etichettante come può essere l’esperienza detentiva, rischia di identificarsi in quell’esperienza. «Questo – spiega il dirigente del Centro di giustizia minorile della Campania – significa che il carcere va evitato perché anche il carcere più attento, strutturato, organizzato e gestito per il trattamento educativo ha dinamiche interne che non evitano processi di prisonizzazione, cioè di assunzione dell’identità delinquenziale che si ha in tutte le carceri del mondo».
Non a caso quello minorile è il primo ambito nel quale è stato introdotto l’istituto della messa alla prova. «E ha funzionato bene – sottolinea Centomani – tanto che, mentre la recidiva nel mondo minorile si aggira tra il 20 e il 30% specialmente per i ragazzi che fanno periodi in carcere, la recidiva tra i ragazzi messi alla prova è attorno al 12-13%: una differenza importante di efficacia della misura rispetto al carcere minorile. Vale anche per il mondo degli adulti dove la recidiva fra chi sconta la pena in carcere è dell’80% mentre dove c’è un’impostazione di tipo trattamentale, invece che semplicemente reclusiva, la percentuale scende al di sotto del 50%».
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