L’aggressione al cuore più vecchio della Russia isola Mosca non solo dalla Ucraina, ma dalle popolazioni di tutto il mondo: in buona misura dalla stessa opinione pubblica russa e, nella grande maggioranza, da quelle dei restanti paesi. Oltreché, di conseguenza, dai governi di questi ultimi. E non solo da quelli occidentali. Non a caso, la stessa Cina non sta appoggiando l’invasione. Foreign Policy del 26 febbraio riferisce una dichiarazione della viceministra degli esteri cinese Hua Chunying sull’invasione dell’Ucraina: «Quello che stiamo vedendo è qualcosa che non avremmo voluto vedere». Come nella sua strategia abituale, Pechino farà affari con la Russia, ma non vorrà ragionevolmente essere confusa con l’aggressore della Ucraina.

In questo momento, gli esiti del conflitto sono ancora incerti (con una forte resistenza della popolazione ucraina) e non sappiamo ancora se il regime change avrà luogo a Kiev. È ciò che, come sappiamo, vorrebbe Putin, che, nell’ambizione di ricostruire il vecchio impero russo (o l’Unione Sovietica morta per sempre), cerca di mettere fra il suo regime dispotico e il resto del mondo Stati fantocci asserviti al suo potere. Anche per questo, il nuovo zar teme l’influenza della civiltà occidentale come noi temiamo la peste. Putin ha sfruttato per l’intervento, con tutta evidenza meditato da tempo, la lentezza del processo di unificazione dell’Europa (e il fallimento, sin qui, dei piani di attrezzarla adeguatamente dal punto di vista della difesa militare), sperando inoltre che la presidenza Trump avesse diviso il vecchio continente dall’America.

In questo ha forse fatto un errore. Verosimilmente, da questa invasione militare alle sue porte, l’Unione Europea troverà le ragioni di uno sforzo per diventare quello che, per pigrizia o scarsa lungimiranza, non ha voluto essere dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, trascurando il fatto che un continente non può vivere eternamente sotto tutela degli Stati Uniti per la sua sicurezza. E non può inoltre affidarsi alla Russia per il suo fabbisogno energetico, come sempre più hanno fatto soprattutto Germania e Italia negli ultimi anni. Alla diffusa miopia che si è manifestata dopo l’ultima guerra, se ne è aggiunta un’altra, nata questa dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Si è pensato che l’est non fosse più una minaccia e che la Russia, sconfitta dalla rivolta pacifica dei paesi asserviti dopo il tracollo del nazismo, si sarebbe quietata abbandonando i suoi secolari sogni imperiali.

Con un po’ meno di ingenuità e di lassismo, ci saremmo dovuti accorgere che Putin non ha mai digerito il collasso dell’impero. L’implosione del Partito Comunista non ha significato la trasformazione del paese di Pietro il grande in un baluardo della pace. Persino l’opinione pubblica tedesca sembra scossa e dà segni evidenti di risvegliarsi dal suo letargo ultrapacifista. Il cancelliere Scholz ha dichiarato che la Germania aumenterà immediatamente e in misura significativa le spese militari. Ai confini orientali dell’Unione europea non stiamo ritornando alla guerra fredda, ma alla guerra, nata dall’invasione militare, come non era più accaduto dal 1956, quando i carri armati sovietici avevano occupato l’Ungheria e poi nel 1968 Praga.

Le sanzioni imposte dalla comunità internazionale alla Russia avranno conseguenze, probabilmente non immediate, ma gravi, e avranno l’effetto di peggiorare la situazione economica poco florida del paese. Putin manda bombe sull’Ucraina perché il suo potere vacilla, nonostante egli appaia sin qui perfettamente in grado di reprimere ogni forma di opposizione interna. Ma forse sente che lo aspetta la fine di Boris Godunov abbandonato dai boiardi.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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