C’era Giancarlo Antognoni, c’era Cesare Prandelli. In sala tanti giocatori del passato, beniamini della tifoseria e di Firenze. Eppure, l’altra sera alla decima edizione della “Hall of Fame” viola gli applausi più fragorosi sono andati ai rappresentanti del Bologna Club Medicina Rossoblù, a Giacomo Bulgarelli – bandiera del Bologna dei tempi d’oro – e a Ivan Dall’Olio che, bambino, pagò la sua fede calcistica con le gravi ferite causate dalle molotov scagliate contro il treno che avrebbe dovuto portarlo allo stadio. Firenze ha così mostrato gratitudine a chi, nei tragici giorni della recente alluvione, ha deciso di dare una mano senza srotolare striscioni o attingere all’inutile retorica ma presentandosi con sette furgoni carichi di aiuti.

Il Museo Fiorentina ha riconosciuto il valore di un simbolo di una squadra avversaria e ha chiesto scusa ancora una volta a un uomo la cui vita è stata segnata per sempre da un gesto tanto ignobile quanto assurdo. Martedì sera Firenze per il decimo anno consecutivo ha celebrato la storia della sua squadra di calcio, che poi è quella del suo popolo; in sala ad applaudire giocatori di un’epoca lontana anche tanti ragazzi che neanche li hanno visti nelle figurine ma che li conoscono benissimo perché glieli hanno raccontati i loro padri, se non addirittura i loro nonni.

E così sono stati celebrati Guido Gratton e Salvatore Esposito, protagonisti del primo e del secondo scudetto viola, il professor Alberto Baccani che per quarant’anni si è dedicato a “riparare” i calciatori di Firenze, gli ultras che nel 1973 decisero di fare grande il tifo della Curva Fiesole, Antonio Di Livio che dopo un mondiale in maglia azzurra decise di restare in serie C2 per riportare la squadra in Serie A. A ritirare la targa, con Esposito e Di Livio, c’erano gli eredi di Baccani e Gratton, tessere del puzzle della storia del calcio a Firenze, a ricordare di come i loro padri avessero scelto di restare per amore, di una squadra e di una città. C’era anche il figlio di Pier Cesare Baretti, giornalista e dirigente sportivo, che fu presidente a metà degli anni Ottanta e che perse la vita in un terribile incidente aereo. “Sono di Torino” ha detto Marco “Ero bambino e ricordo lo striscione esposto allo stadio in memoria di mio padre.

Da allora sono uno di voi, da allora sento di fare parte di questa famiglia”: potere del calcio, di un gioco che poi tanto gioco non è. Lo sanno benissimo quei ragazzi adesso sessantenni che quarant’anni fa conquistarono lo scudetto Primavera guidati da un giovane e sfortunato ex calciatore, Vincenzo Guerini. Mentre la platea li applaudiva si abbracciavano e scherzavano come fanno quotidianamente nella chat di Whatsapp continuamente animata da una battuta o un’emoticon. Stefano Carobbi e Mario Bortolazzi hanno calcato i grandi palcoscenici, altri hanno fatto cose diverse dal calcio ma non importa, la loro amicizia nata negli spogliatoi si è consolidata nel tempo grazie proprio al calcio, un gioco che poi tanto gioco non è.

Siccome l’amore non conosce interesse, Firenze ha ricordato anche i protagonisti di una Fiorentina in tono minore, quella degli anni Settanta: Ezio Sella e Dino Pagliari, premiati dal compagno di mille battaglie Alessio Tendi e dal capitano di sempre, Giancarlo Antognoni. Martedì Firenze ha respirato centoventi minuti di pura poesia, che hanno parlato al cuore di tutti gli appassionati del “calcio bello”, quello delle maglie di lana, dei giocatori con zero tatuaggi ma mille valori, dei calciatori bandiera che sventolavano per decenni nella stessa città e dove i soldi erano importanti ma non erano tutto. A rendere possibile questa magia, l’opera del Museo Fiorentina, decine di volontari che ogni giorno si impegnano perché la storia della squadra non venga dimenticata e perché Firenze non perda quell’identità che da secoli la caratterizza.

In avvio di serata David Bini, presidente del Museo, ha mostrato la foto della lapide di Luigi Griffanti che, ridotta male per il tempo e l’incuria, è stata tirata a lucido in un battibaleno da questi innamorati di Fiorentina. Un esempio lampante di ciò che rappresenta per la città questa istituzione preziosa. Per la cronaca, a consegnare la targa alla figlia di Bulgarelli è stato Marco Astori, fratello David Astori, capitano viola scomparso tragicamente nel 2018. Sempre per la cronaca, nessuno dell’attuale dirigenza viola era presente. Un segno, brutto, del calcio moderno.