Woke corner
La riflessione
Il potere logora chi ce l’ha e rende peggiore chi non riesce a controllarlo: serve un’educazione ai rischi sociali e individuali
Sicuramente ti sarà capitato di aver pensato di conoscere, apprezzare e stimare una persona o un leader politico ma di aver assistito a un suo peggioramento dopo che aveva assunto un ruolo di potere. Per Andreotti, e prima di lui Charles-Maurice de Talleyrand, “il potere logora chi non ce l’ha”, ma già Thomas Hobbes sosteneva che il potere è intrinsecamente corruttivo e le società moderne nascono proprio per arginare gli effetti negativi del potere senza limitazioni. Ma secondo la psicologia, il potere deteriora le persone, inclusi i leader politici. Quindi Andreotti si sbagliava: il potere non solo logora ma corrompe chi lo detiene.
Il potere, a giudicare dalle ricerche in ambito psicologico, renderebbe le persone decisamente peggiori: irrealisticamente sicure di loro stesse, egocentriche, ciniche, sospettose e meno fiduciose nei confronti degli altri. Diminuirebbe l’empatia, un tratto fondamentale per un buon leader e gli altri diventano solo degli strumenti. Il progressivo e inesorabile distacco sociale porta i leader a perdere il contatto con la realtà e con chi li circonda, facendoli diventare insensibili ai bisogni degli altri. Sembrerebbe che il potere renda i leader soli e “cattivi”, sempre più lontani dalle relazioni significative e inclini a tradire più spesso (se confrontati con le persone con meno potere). Più sono (o siamo) esposti al potere e più diventiamo aggressivi e propensi ad abusare di autorità e ruolo, prevaricando gli altri. Secondo alcuni ricercatori, il potere non è “singolare” ma ne esisterebbero diverse forme.
Ad esempio c’è chi ha differenziato il potere personale (libertà dagli altri) dal potere sugli altri, oppure tra potere come opportunità (per raggiungere i propri obiettivi) o come responsabilità. Cislak, Cichocka, Wojcik e Frankowska, quattro ricercatori polacchi, hanno analizzato i diversi “poteri”. E – sorpresa – non tutti i poteri corrompono. Il potere sugli altri e il potere su sé stessi (la capacità di determinare la propria vita, di controllare sé stessi) sono due facce della stessa medaglia, ma con effetti opposti. Il potere sugli altri deteriora le persone, rendendo i leader più aggressivi e sfruttatori, mentre il controllo personale produce effetti benefici, riducendo i comportamenti antisociali. Chi detiene il potere sugli altri tende a perdere il contatto con la realtà e a tirare fuori il peggio di sé, diventando nel tempo più un tiranno che un leader.
Al contrario, chi riesce a mantenere un forte controllo personale e non lascia che il potere sugli altri lo consumi, esprimerà un comportamento etico e positivo. Per queste persone, il potere è un mezzo e non un fine. Un mezzo per realizzarsi e trasformare la propria vita in un capolavoro. Ma siamo umani e quindi anche leader di questo tipo non sono perfetti, ma sono sicuramente meno “difettosi” di coloro che vedono il potere come il fine della propria vita e l’esercizio del potere come il massimo livello di realizzazione. In altre parole, il problema non è tanto il potere in sé, quanto “il potere in me” e il modo con il quale lo esercito. In un mondo dove il potere è spesso visto come un male necessario, esiste una via alternativa: un modello di leadership basato non solo sul comando sugli altri, ma soprattutto su un profondo controllo di sé. Un potere per ispirare gli altri e non per distruggerli. Quindi, a cosa “serve” il potere? A “servire” una causa e gli altri. E, più che mai, serve una “educazione al potere” ai suoi rischi, sociali e individuali.
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