“Non mi sembrano un granché”, disse Mogol ascoltando due canzoni di Lucio Battisti. Era la prima volta che si incontravano, il cantante e il paroliere, a presentarli la direttrice di una casa di edizioni musicale, Cristine Leroux. Era la prima volta che si incontrava il duo di autori più noto, celebrato e cantato della musica italiana e niente lasciava prevedere. Giulio Rapetti, in arte Mogol, ha raccontato l’aneddoto in un’intervista a Il Corriere della Sera, in vista del prossimo 5 marzo, quando Battisti avrebbe compiuto 80 anni.

“Non avevo intuito nulla”, ha ammesso Mogol. “Però la terza canzone fu 29 settembre che divenne un successo dell’Equipe 84. All’inizio Lucio non voleva cantare, dovetti insistere prima di convincerlo”. Si incontravano a Molteno, alla villa di campagna di Mogol, scrivevano una canzone al giorno, Il mio canto libero quella di più grande successo. “Lui era un matematico. Studiava sette ore al giorno le canzoni dei più grandi artisti mondiali, un giorno mi disse che si era concentrato solo sulle pause di alcuni successi. Io ero la parte letteraria, mi chiamava ‘il poeta’. Ho sempre scritto le parole dopo la musica perché credo che ogni frase musicale abbia già un suo senso”.

Proprio Il mio canto libero e i “boschi di braccia tese” di La collina dei ciliegi vennero interpretati politicamente, in anni in cui tutto era letto in chiave politica, come celebrazioni filo-fasciste, di destra. “Quelle braccia non erano un simbolo politico. Lo hanno detto anche per quelle della copertina di Il mio canto libero. Ma sono braccia con i palmi aperti come per un’invocazione al signore. Volevano darmi del fascista perché non facevo canzoni impegnate. Non ho mai sentito Lucio parlare di politica: semplicemente non scrivevamo canzoni per il comunismo. Però i dischi di Lucio vennero trovati nel covo delle Br: è un fatto storico“.

Lucio Battisti sparì, si ritirò dalle scene nel 1970. “Non tornò a esibirsi nemmeno quando il clima cambiò. Credo che capì, anche se non me lo ha mai confessato, che questo l’avrebbe reso un mito”. La trasmissione Va ora in onda di Rai1 si inventò gli “abbattistamenti”: apparizioni e avvistamenti che venivano segnalati in tutta Italia. Battisti è morto il 9 settembre 1998, dopo un ricovero in condizioni gravi all’ospedale San Paolo di Milano. Viveva a Molteno, nella comasca, da qualche tempo. Non furono mai confermate le voci di un linfoma maligno al fegato o di glomerulonefrite.

La moglie Grazia Letizia Veronesi negò qualsiasi contatto con i cronisti. Appena una ventina di persone avrebbero presenziato ai funerali. C’era anche Mogol, che però nel 1980 aveva litigato con Battisti. “Non fu una questione di soldi, ma di equità. Lui otteneva due terzi dei diritti e io un terzo. Chiesi di dividere in parti uguali. Sembrava d’accordo, ma il giorno dopo cambiò idea. Gli dissi che non avrei più lavorato con lui”. Quando aveva saputo la notizia del ricovero Mogol scrisse e spedì una lettera all’amico affidandola a un’infermiera.

“Diceva: ‘Caro Lucio, spero che i giornali esagerino come sempre, però se hai bisogno io sono qui’. Non seppi se l’aveva ricevuta oppure no fino a dieci anni dopo, quando scoprii che un medico gliel’aveva consegnata. Vide Lucio, in uno dei suoi ultimi momenti di lucidità, leggerla e poi mettersi a piangere”, ha raccontato Mogol anni dopo a Famiglia Cristiana. Quello che invece Mogol gli direbbe oggi invece è: “Lucio sta tranquillo, che tra un po’ staremo di nuovo insieme … Ho 86 anni …”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.