Lo stato di emergenza e i pieni poteri del governo
“Stato d’emergenza per i migranti, così il principio di legalità potrà essere violato”, intervista a Gaetano Azzariti
Sui pieni poteri che Giorgia Meloni si è data in materia di immigrazione riflette Gaetano Azzariti, docente ordinario di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma.
Cosa concretamente comporta la dichiarazione da parte del governo dello stato di emergenza?
Il numero dei migranti complessivo non fa presupporre nessuna emergenza. Dal punto di vista normativo gli effetti principali dell’aver dichiarato lo stato di emergenza sono due. Anzitutto, possono essere emanate ordinanze in deroga alle leggi vigenti. In secondo luogo, queste ordinanze possono essere adottate dalla presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal ministro per il coordinamento della protezione civile, avvalendosi del Commissario delegato. Il che vuol dire che vengono sostanzialmente sottratti i poteri ordinari degli altri ministeri, di quello dell’interno in particolare, ma anche, per le competenze in materia, di quello dei trasporti. A pensar male si potrebbe sospettare che sia stato un modo per risolvere divergenze interne al governo. Rimane comunque il dato, assai delicato, della estensione dei poteri in materia di immigrazione che possono prevedere atti in deroga al principio di legalità. Misure eccezionali che dovrebbero essere sempre utilizzate con estrema cautela e solo in casi veramente straordinari e imprevedibili.
Esistono dei vincoli normativi da rispettare per poter dichiarare lo stato d’emergenza? Un governo una emergenza se la può inventare o esistono criteri obiettivi che lo vincolano?
La legge istitutiva della protezione civile (la n. 225 dl 1992) è in realtà assai generica. E già nel passato abbiamo dichiarato lo stato d’emergenza per eventi per nulla traumatici. Si ricorderà l’uso estremamente largo della protezione civile al tempo di Bertolaso quando, con una normativa che poi è stata per fortuna cambiata, potevano utilizzarsi le ordinanze di necessità ed urgenza per organizzare la gestione dei cosiddetti grandi eventi. Ancora oggi, però, si fa riferimento a non meglio definite calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari. E il peggio è che la valutazione della sussistenza di queste situazioni è rimessa sostanzialmente al Consiglio dei ministri su proposta del presidente del Consiglio o su quello del ministro per il coordinamento della Protezione civile. Così può avvenire che il fenomeno epocale delle migrazioni sia considerato alla stregua di una calamità naturale.
Chi ritiene una ottima trovata l’aver dichiarato lo stato di emergenza sostiene che in questo modo si velocizzano le procedure per i riconoscimenti e per i rimpatri. Quali passaggi concretamente si salteranno e quali controlli verranno evitati?
La velocizzazione delle procedure è un’ossessione di questo governo, in verità anche del precedente. Basta pensare al nuovo codice degli appalti che ha esteso le procedure di affidamento semplificato, se non diretto. Se già in questi casi il rischio del venir meno dei controlli è stato denunciato da più parti ed appare un problema reale, figuriamoci quando siamo di fronte a diritti fondamentali delle persone. Francamente spero che non si utilizzi lo stato di emergenza per incidere sulle procedure di rimpatrio. Tra l’altro è in Parlamento la legge di conversione del decreto Cutro che proprio di questo si occupa, e non sempre in modo corretto per i diritti dei migranti, soprattutto con riferimento alla cosiddetta protezione speciale. I poteri extra ordinem che ora si attribuisce il governo dovrebbero riguardare solo le vicende organizzative, ovvero l’emergenza conseguente al flusso elevato di arrivi di migranti. In sostanza, l’emergenza in mare, magari rafforzando la guardia costiera che deve effettuare i salvataggi in mare, ovvero il reperimento di alloggi e strutture adeguate per la permanenza dei migranti una volta giunti sul territorio nazionale. Non mi sembra però che l’attuale governo sia orientato in questa direzione, semmai guarda nel verso opposto, volendo prendere misure per limitare gli arrivi. E questo non lascia ben sperare.
Lo stato di emergenza consente di fare affidamenti diretti senza gara quindi senza nessun controllo, ma non esistono regole europee per le gare? Si possono derogare per decisione governativa?
Una delle giustificazioni che sono state fornite per decretare lo stato di emergenza è quello della carenza di strutture di accoglienza. Ma qui si apre una questione. Se si pensa veramente che dopo questa anomala ondata di arrivi – il 300% in più rispetto all’anno passato, ma sempre al di sotto della media del numero dei migranti residenti in Germania, Francia e Spagna, quindi, ripeto: non c’è nessuna emergenza che giustifichi la dichiarazione dello stato di emergenza – si possa tornare ad un flusso molto più ridotto, allora l’intervento richiesto sarebbe del tutto eccezionale e provvisorio. Ma se invece, con maggiore realismo, si ritiene che ci si debba attrezzare per i prossimi anni ad un significativo arrivo di migranti da tutti i paesi oggi in sofferenza e provare a governare il fenomeno delle migrazioni, allora appare evidente che non si tratta di intervenire straordinariamente, ma di costruire una complessa rete di accoglienza e permanenza dei migranti. In questo secondo caso la protezione civile potrebbe fare ben poco, meglio sarebbe un intervento di natura strutturale che modificasse e estendesse i centri di accoglienza oggi sovraffollati ed inidonei. Meglio sarebbe, finalmente, fare una legge rispettosa dell’articolo 10 della Costituzione che assicuri il diritto di asilo a chi ne ha titolo. Meglio sarebbe definire una più congrua normativa sull’accoglienza dei lavoratori stranieri nel nostro paese. Meglio sarebbe proporre a livello europeo una modifica degli accordi di Dublino sulla distribuzione dei migranti nei vari Paesi. Meglio sarebbe coinvolgere i Paesi europei nonché le associazioni di volontariato nelle azioni di salvataggio in mare. Certo, si può ragionevolmente dubitare che il governo sia orientato in questo senso.
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