L'intervento
Il processo a distanza non diventi la regola
I richiami autorevoli di questi giorni, venuti da magistrati, avvocati, mondo del diritto in genere, impongono alla politica una riflessione attenta sull’amministrazione della giustizia nel difficile periodo che stiamo vivendo. È la politica infatti a essere chiamata, soprattutto nei momenti più drammatici, ad assumersi la responsabilità delle posizioni e delle scelte necessarie per garantire il massimo rispetto dei diritti e delle garanzie dei cittadini. Per questo, oggi, trovo giusto che il Governo ribadisca con chiarezza la durata limitata e temporanea delle modalità da remoto, estese fino al 30 giugno dal decreto Cura Italia in sede di conversione per buona parte delle attività processuali, dalla fase delle indagini preliminari alle udienze penali fino alla camera di consiglio. Queste norme, che sono state introdotte come strumento a termine per evitare la quarantena della giustizia italiana, non potranno diventare le regole per un nuovo processo “liquido”, da celebrare a distanza in videoconferenza.
Le preoccupazioni sollevate sia dalla magistratura sia dagli avvocati testimoniano che il tema non è una crociata pro o contro l’utilità della tecnologia, ma il modo in cui essa incide sul nostro modello di processo, in particolare quello penale. Ci sono alcuni principi basilari, che riguardano l’oralità, il contraddittorio e l’immediatezza del giudizio, che definiscono la spina dorsale del nostro processo e, come tali, vanno difesi; per questo, la tutela di questi principi è interesse comune, degli avvocati come dei magistrati. Inoltre, quando in una democrazia ci si trova a limitare le normali regole della vita civile a causa di uno stato di emergenza come quello attuale, è poi doveroso da parte di tutti applicare un sovrappiù di attenzione affinché una condizione di emergenza non lasci sul campo residui scivolosi che possono indebolire l’infrastruttura giuridica e democratica.
Perciò, giudico molto positivo l’articolato dibattito in corso sia nella magistratura sia nelle Camere penali su tecnologia e processo; e la politica, a cominciare dal Governo, farebbe bene a prestare a esso massima attenzione, anche dando disponibilità, se serve, a migliorare le scelte già compiute. L’emergenza Covid-19 ha messo il nostro sistema giustizia di fronte all’esigenza di dare seguito ad alcune attività garantite da diritti fondamentali e insieme alla consapevolezza che in questo scenario la tecnologia era una strada quasi obbligata, senza però che molti strumenti fossero mai stati previsti né implementati. Credo anche poi che siano emerse alcune criticità, sia per quanto riguarda la carenza di connessione sia per gli aspetti evidenziati dal Garante della privacy, che possono essere migliorate.
In ogni caso, non credo vi sia nulla di scandaloso nell’immaginare un maggiore impiego delle tecnologie per la formazione e la comunicazione di atti e documenti, anche nel settore penale, con l’attenzione però che queste novità mantengano una reciprocità tra uffici giudiziari e avvocatura. Inoltre, come avviene per altri settori produttivi, l’emergenza può offrire spunti per colmare finalmente i ritardi della giustizia italiana, come ad esempio sull’estensione del processo telematico al giudice di pace.
Detto questo, deve essere chiaro che non si può usare un gap di efficienza da colmare per disarticolare un intero sistema di garanzie processuali che è parte della nostra civiltà giuridica. Le regole processuali sono una cornice introdotta dal legislatore per dare effettività al diritto di difesa e al ruolo di garanzia di cui la giurisdizione è investita. E per questo esse non si riducono mai ad uno strumento neutrale, soggetto in maniera esclusiva ad un parametro di efficacia. Penso alle garanzie relative all’udienza di convalida dell’arresto che, se essa viene celebrata a distanza, risultano limitate. E così soltanto un contesto relazionale dal vivo, fatto di sguardi negli occhi di un testimone, di espressioni della giuria e dettagli altamente rivelativi, può fare maturare scelte consapevoli che nel corso di un processo, o nel momento della decisione finale, risultano decisive sia per il giudice sia per la difesa dell’imputato.
Queste considerazioni mi portano a essere particolarmente sensibile alle preoccupazioni sollevate in questi giorni. Lo ribadisco: le modalità eccezionali con cui verranno celebrati i processi ancora nelle prossime settimane rappresentino soltanto una parentesi temporanea in un periodo che dovrà portare al ritorno alla normalità. L’impegno di tutti deve andare in questa direzione, semmai intervenendo sui problemi specifici emersi. Non ho dubbi infatti che il modo migliore per dare seguito ai numerosi richiami levatesi sia quello di predisporre al più presto, anche per il settore giustizia, un piano per la ripartenza che, contemperando le esigenze di sicurezza con la necessaria gradualità, porti al più presto i tribunali italiani a tornare operativi.
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