Non rinnego le ragioni della campagna che, su impulso di Marco Pannella, mi videro partecipe della Lega per l’uninominale e che portò al successo del referendum e all’approvazione della legge chiamata Mattarellum. Va anche detto che essa diede buona prova e che sarebbero bastati pochi correttivi (come l’eliminazione delle “liste civetta”) per continuare a usare una legge equilibrata, che garantiva il confronto tra coalizioni con programmi per il governo del Paese e il diritto di tribuna. La mia esperienza di deputato di Ortona nel 1994 e nel 1996 fu davvero straordinaria e il rapporto costruito nel territorio fu ricco di realizzazioni concrete e di ricerca di relazioni di cultura politica che permangono dopo venti anni.

Invece, fu scelta la strada delle “leggi truffa” per dare la maggioranza a chi era minoranza sulla base della vulgata maggioritaria e della governabilità. Questa via di scelte strumentali per gli interessi neppure più dei partiti, ma di gruppi di potere, ha alimentato la crisi della politica e della partecipazione elettorale. Se il cittadino si rende conto che il suo voto non è più espressione della sovranità popolare, ma è elemento della spartizione clientelare, inevitabilmente e anche giustamente si sottrae al gioco dei clan affaristici. La crisi, però, è ormai manifestamente crisi della democrazia e delle istituzioni e lo spettacolo di forze politiche senza dignità prefigura scenari apocalittici.

Nessuno ha avuto la forza e la responsabilità di fermare la deriva demagogica. Così, dalla volgare operazione del taglio dei vitalizi si è passati direttamente al taglio dei parlamentari, senza un’idea del ruolo del Parlamento e della sua difesa. Senza alcun giudizio sul fatto che, contemporaneamente, in Germania, grazie a una ottima legge elettorale che mette insieme scelta proporzionale e uninominale, il numero dei componenti del Bundestag è aumentato. Sarebbe ora che qualcuno si assumesse la responsabilità dello strangolamento della Bicamerale, che anche sulla giustizia proponeva riforme essenziali. Siamo in un deserto senza visioni di futuro. Per questo occorrerebbe il coraggio di fare tabula rasa delle finzioni e obbligare i soggetti politici a presentarsi da soli con un volto e un progetto, con la propria storia (se esiste), senza infingimenti, trucchi e belletti e lasciando così cittadini liberi nel decidere. Ecco il senso di una legge elettorale proporzionale oggi: il tentativo, forse impossibile, di una rigenerazione.

Anche in questo caso la Storia ci può aiutare. Piero Gobetti, giovane fondatore e direttore di Energie Nove, il 3 luglio del 1919 scriveva un puntuale e ricco articolo sull’Unità, la rivista di Salvemini, con il titolo “Verso la proporzionale”. Il tono è secco. “La riforma elettorale, ormai, è in cammino. La campagna che L’Unità ebbe il merito di sferrare nella primavera del 1918, continuandola con decisione e testardaggine, non è stata vana, né tra le nostre classi dirigenti, né nel popolo. Il successo non è mancato, perché L’Unità ha intuito in tempo che la riforma era matura. Ma non illudiamoci. Di maturo, ahimè, c’era essenzialmente uno stato d’animo negativo: il disgusto pel collegio uninominale. L’Unità ha approfittato di questo disgusto per suscitare ovunque la volontà attiva di farla finita col vecchio sistema: e siamo giunti al risultato che il paese, energicamente, decisamente, non vuol più saperne del collegio uninominale, e vuole un sistema di rappresentanza che gli permetta di manifestare più liberamente e più sinceramente la propria volontà”.

Nonostante i timori di Gobetti di manovre dilatorie o opportuniste, la nuova legge fu approvata il 15 agosto e le elezioni svolsero nel novembre con un successo notevole dei socialisti e dei popolari. I fascisti di Mussolini ottennero una percentuale irrisoria, ma le forze democratiche mostrarono un’incredibile incapacità e aprirono la strada all’avventura totalitaria. Gobetti temeva che fare le elezioni con la legge elettorale allora vigente avrebbe significato preparare una rivoluzione antiparlamentare. Purtroppo, gli errori delle forze democratiche aprirono le porte alla chiusura del Parlamento con la legge Acerbo e con l’avvento della Camera dei fasci e delle corporazioni.

La conclusione di Gobetti vale anche oggi: “Le leggi elettorali non sono eterne: questa, che passerà nei prossimi mesi, la riformeremo l’anno venturo se l’esperienza ne dimostrerà la necessità; la integreremo con altri provvedimenti più radicali, via via che questi saranno riusciti ad assumere forme concrete ed abbiano raccolto un consenso abbastanza largo. A chaque jour suffit sa peine. Oggi sfondiamo questa porta. Sfondata questa, ci sarà più facile spalancare le altre”. L’intransigenza di Gobetti dovrebbe esserci di monito almeno per concordare sul fatto che non si può votare con il cosiddetto Rosatellum: rischieremmo di avere un Parlamento illegittimo dopo una pronuncia della Corte costituzionale. Scherzare con il fuoco, tra scenari di guerra e tensioni sociali, è da irresponsabili.