Il ruolo dell'accusa e l'effetto distorsivo
Il protagonismo dei Pm e la deriva della giustizia

Il compito dell’interprete dei fenomeni giuridici è anche quello di prescindere dai singoli episodi, pur significativi, per vedere se essi si ricolleghino in un ordine suscettibile di costituire un elemento di sistema così da collocarli come elementi di continuità o di discontinuità con quanto emerge dall’analisi degli elementi assimilabili. La recentissima vicenda del contrasto tra la procura di Milano e i giudici del processo Eni-Nigeria si presta a considerazioni di più ampio respiro ove si cerchi di collocarla, appunto, come significativo elemento dell’evoluzione dei rapporti tra pm e giudici, ma soprattutto degli sviluppi che sta evidenziando il ruolo del pm.
Può subito anticiparsi come da queste riflessioni emergerà sicuramente la ragione del forte impatto che la posizione della procura assume nel contesto dell’ordinamento giudiziario e delle conseguenti ragioni per le quali le contrapposizioni delle correnti si incentrino soprattutto su queste nomine. Premessa e conclusione di questo fatto, sono da tempo i contrasti all’interno degli uffici di Procura. Solo per citare alcuni, fra i tanti, si può fare riferimento al caso Cordova, al contrasto Robledo – Bruti Liberati dentro la procura di Milano, al caso Cisterna, al conflitto tra caselliani e non nella procura di Palermo, la guerra dello stretto, il caso Lombardini. Sarebbe agevole continuare nell’elencazione.
Il ruolo “forte” delle procure, si è evidenziato pure nei confronti delle altre istituzioni dello Stato. Anche in questo caso, solo per riandare ad alcuni episodi, si potrà ricordare il pronunciamento della procura di Milano ai tempi di Mani pulite, il rifiuto opposto agli ispettori del Ministero dell’accesso a un fascicolo. Per venire a episodi più recenti sarà sufficiente ricordare la presa di posizione di alcune procure in tema di intercettazioni, la sottoscrizione di un’intesa con l’Ucpi in materia di procedimento a distanza, nonché non ultimo i messaggi in tema di possibili modifiche al regime dell’art. 41 bis ord. penit. In altri termini, le procure tracciano i limiti delle iniziative legislative anche durante la fase di elaborazione delle riforme da parte delle Camere (vedi ancora la modifica dell’art. 270 c.p.p. in tema di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi). L’atteggiamento delle procure è stato significativo anche in relazione alla disciplina dei suoi poteri di indagini nelle dinamiche processuali. Anche a prescindere dall’atteggiamento di rifiuto del modello processuale del 1988 (procuratore Maddalena), sicuramente l’opinione delle procure (Vigna, in testa) sulla non dispersione delle conoscenze del pm, complice il terrorismo e la criminalità organizzata, è stato alla luce delle sentenze costituzionali del 1992 e del 1994.
Il dato si è inserito nel contesto d’una scelta, allora coerente, che ridimensionava i poteri di controllo del giudice per le indagini preliminari. Questa espansione del valore probatorio dell’attività del pm si è riverberata lungo tutto il processo, anche nella fase dibattimentale, solo parzialmente ridimensionata dalla riforma dell’art. 111 Cost.
Sono evidenti i riferimenti qui solo enunciati: del giudice sulle richieste del pm, elefantiasi della fase investigativa e riflusso delle indagini nel dibattimento con valore probatorio. Si tratta di elementi troppo noti e scandagliati da non richiedere ulteriori indicazioni. Ciononostante non sono mancati, soprattutto a seguito dei dibattimenti decisioni assolutorie (il caso Andreotti, è emblematico) di fronte alle quali inizialmente gli organi dell’accusa, alla luce di quanto dispone l’art. 125 disp. att. c.p.p., si limitavano a dire che vi era stata la prescrizione (e quindi la colpevolezza) ovvero l’applicazione dell’art. 530, comma 2, c.p.p. e che comunque l’impianto dell’accusa non era stato smentito. Ovvero ancora che comunque l’imputato era stato “sfregiato”.
Così, non sono mancate progressivamente anche iniziative tese a delegittimare gli uffici giudicanti attraverso segnalazioni al Consiglio Superiore e iniziative paradisciplinari tese a rimuovere i magistrati non allineati. Ultimamente sono aumentati i proscioglimenti e gli annullamenti delle misure cautelari. Sono, parallelamente aumentate le prese di posizioni di censura nei confronti di chi aveva pronunciato sentenze non in linea con le tesi della procura oppure aveva disposto scarcerazioni cautelari. Emblematico il caso del gip di Catania, nonché alcune affermazioni negli sviluppi di Mafia Capitale. Anche in questo caso ulteriori esempi non mancano, confluiti sugli organi di informazione. Non vanno poi sottaciute le prese di posizione nelle varie mailing-list e nelle chat.
La vicenda milanese che si segnala per la “ruvidità” dei toni, per la reciproca devastante delegittimazione tra accusa e giudici, per la velenosa contrapposizione tra procura della repubblica e procura generale e che è destinata verosimilmente a perpetuarsi nei successivi sviluppi processuali, come emerge dagli ulteriori veleni che intorbidano la vicenda, era stata preceduta dalle esternazioni del procuratore della repubblica di Reggio Calabria, che ha profondamente diviso l’Associazione Nazionale Magistrati, incapace di prendere posizione in materia, nella quale si faceva leva sull’obbligatorietà dell’azione penale, sulla bontà delle posizioni dell’accusa e si adombravano incapacità – sotto vari profili – degli organi giudicanti. A Milano, si sono prospettate anche non poche questioni sul rapporto tra obbligatorietà dell’azione penale e costi delle indagini non sufficientemente fondate, a sottolineare che l’obbligatorietà non può diventare lo schermo per coprire ogni attività investigativa e deresponsabilizzare l’iniziativa investigativa.
Il quadro così sommariamente delineato permette di sviluppare una considerazione di sintesi: il problema del pubblico ministero, del suo ruolo, dei suoi poteri (non escluso quello disciplinare della procura generale), non è più ormai soltanto un problema processuale: è un problema fondamentale di ordinamento giudiziario e di garanzie per la giurisdizione. Il punto è stato colto con chiarezza in un recente articolo di Mariarosaria Guglielmi (apparso su Questione giustizia) sullo stato della magistratura e della funzione giurisdizionale che richiede «una riflessione che oggi non può eludere la tenuta di questo modello non solo rispetto a progetti di riforma ma anche rispetto al diritto vivente. Mi riferisco in particolare ai rischi di un pericoloso scivolamento del ruolo del pm verso forme sempre più evidenti di personalizzazione, da protagonista mediatico incontrastato e agli effetti di serio squilibrio che una dimensione mediatica sempre più incentrata sui risultati delle indagini rischia di produrre rispetto al processo. E mi riferisco agli interrogativi che questo diverso modello ci pone rispetto alle ricadute sulla comune cultura della giurisdizione da noi sempre rivendicata a fondamento e a difesa dell’assetto forte e unitario di indipendenza di tutta la magistratura». Affermazioni da condividere, parola per parola.
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