“Nella democrazia non funziona il gentleman colto, nutrito dalla saggezza di diverse generazioni, ma serve un membro attivo, critico, riflessivo ed empatico di una comunità di eguali, capace di scambiare idee su una base di rispetto e comprensione per le altre persone che provengono da milieu culturali e sociali differenti”. Quanta saggezza e forse utopia in queste parole di Martha Nussbaum vergate nel suo libro “Emozioni politiche” (il Mulino).

Come evidenziato drasticamente dalle ultime elezioni europee e francesi, uno dei principali problemi inerente alla partecipazione democratica dei cittadini riguarda il ruolo giocato dalle emozioni nella sfera pubblica (Habermas docet). In effetti, l’articolata stratificazione sociale contemporanea ha portato a una ineguale distribuzione di molte risorse, tra cui le emozioni. Queste ultime, essendo fondamentali per il mantenimento della vita in comune e di rapporti pacifici tra gli individui, destano preoccupazione quando pendono verso il loro “lato oscuro”, ossia quando si crea un forte squilibrio tra le emozioni negative e quelle positive.

Il surplus di emozioni

Oggi, come diversi studi sociologici evidenziano, le cosiddette classi agiate – nelle quali rientrano a pieno titolo i politici di professione – detengono un surplus di emozioni positive, derivante dai privilegi trasmessi dai ruoli ricoperti, che permette loro di gestire con più facilità gli eventuali scontri sociali o difficoltà interazionali (professionali, ma anche famigliari). Al contrario, le classi medio-basse della popolazione rischiano di accumulare una notevole quantità di emozioni negative, a causa di diversi fattori: inflazione, disoccupazione, malattie, ansia e stress quotidiani, ecc. Ciò favorisce l’insorgere di una stabilità diffusa all’interno di queste classi che porta a sfogare nel pubblico ciò che si sente in privato.

L’energia negativa

Così facendo, le emozioni individuali vanno a ingrossare una sorta di energia negativa collettiva foriera di forme di partecipazione democratica populistiche, qualunquistiche, prive di un approfondimento razionale sul proprio agire elettorale. Questa situazione si verifica quando le attese di riconoscimento individuale o collettivo non vengono soddisfatte: ad esempio, quando alle domande di un figlio non viene data risposta dai genitori; quando, in una coppia, le richieste di un partner non vengono ascoltate dall’altro; quando a un giovane non vengono riconosciuti anni di studio e impegno formativo e lo si lascia affogare nella palude del precariato lavorativo, ecc. Tale rischio è oggi molto presente nella società, soprattutto a causa delle profonde disuguaglianze sociali che la caratterizzano.

Valorizzare la sfera pubblica

Se riflettiamo sulle emozioni come problema è anche necessario considerare la parte fredda di queste ultime, che può a sua volta dare vita alla nascita di emozioni secondarie ben poco calde come l’apatia, l’indifferenza, l’atteggiamento solipsistico, l’omologazione. In tale direzione, si avrebbe a che fare con emozioni commerciali, distaccate dall’intimità individuale e abbandonate alle regole impersonali della politica di professione e del mercato consumistico. Emozioni fredde, prive di anima. Come risolvere il problema? Credo sia necessario ritornare a costruire e valorizzare la sfera pubblica. Per quanto le emozioni possano coinvolgere e convincere un’ampia folla, nel corso di un dibattito o di una serie di conversazioni politiche, il loro rapporto con la sfera pubblica è molto più articolato di quanto possa apparire a prima vista e, soprattutto, non si caratterizza per una valenza così negativa. In tal senso, dobbiamo considerare le emozioni come risorse culturali per dialogare e agire proprio all’interno della sfera pubblica: possibilità di incontro, comunicazione e comprensione con l’altro e dell’altrui argomentazione. In tale direzione, le emozioni permettono, se maneggiate con intelligenza, un perfezionamento dell’argomentazione stessa.

L’amor intellectualis

Non si configurano soltanto come generatrici di un presunto coinvolgimento emotivo generatore di indiscrezione e annullamento di distanza nelle conversazioni. Ma attraverso la manifestazione e la condivisione del sentire è anche possibile produrre un discorso razional-emozionale che può dare vita ad azioni sociali incidenti sulle strutture della società. Non si tratta, dunque, di intellettualizzare le passioni, ma di trovare una sorta di amor intellectualis, al fine di non separare il dovere della conoscenza e della partecipazione democratica da una saggia passionalità esistenziale (ed elettorale…).

Massimo Cerulo

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