Quando i tempi diventano difficili, scelte drastiche si impongono. È il succo del “rapporto sulla competitività dell’Unione Europea” che l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, presenta il 9 settembre a Bruxelles.
Con un incarico ricevuto da Ursula Von der Leyen, numero uno della Commissione Ue, Draghi ha analizzato la situazione dell’economia del vecchio Continente e l’ha racchiusa in un rapporto di 400 pagine.
Le anticipazioni che emergono sono dei veri e propri squilli di tromba per evitare la recita del “de profundis” all’Unione Europea.

L’Europa stretta tra giganti Usa e Cina

D’altronde, chi più di “Super Mario” può piazzare due sberle virtuali ai policy maker dell’Unione? Lui che il 26 luglio del 2012 pronunciò tre parole, “Whatever it takes”, che salvarono l’Euro e alcuni Paesi del vecchio Continente dalla speculazione internazionale e da chi scommetteva sul fallimento della moneta unica.
L’analisi dell’ex numero uno della Bce è chiara ed impietosa: l’Europa vive una debolezza strutturale ed è stretta nella morsa dei due giganti globali, Stati Uniti e Cina, i quali stanno mettendo sul piatto enormi fondi per affrontare le sfide del futuro: svolta ambientale, digitale e difesa.
Secondo l’analisi di Draghi, negli ultimi vent’anni l’Europa ha trascurato lo sviluppo della competitività del proprio sistema economico agevolando addirittura dei “freni strutturali” come il ritardo nella capacità di innovazione, l’aumento dei prezzi dell’energia, le carenze di competenze, la necessità di accelerare rapidamente la digitalizzazione e di rafforzare con urgenza le capacità di difesa comune.

Scelte a 360 gradi

L’Unione Europea, è il ragionamento di fondo del rapporto Draghi, deve essere pronta ad una rapida svolta a 360 gradi, pena la sua fine.
Non si può fronteggiare la concorrenza globale con le armi spuntate di un bilancio comunitario che per lo sviluppo mette sul piatto pochi spiccioli.
E’ necessario cambiare radicalmente il quadro di riferimento. L’Ue deve agire con un attore unico, stanziando fondi comuni da reperire con un debito comune.
Questa è, di certo, la scelta più radicale che Draghi propone all’Unione. Come già fatto con il Pnrr, l’Europa deve essere pronta a reperire risorse per finanziare la svolta green, le industrie hi-tech e soprattutto la Difesa comune.

Difesa

Proprio la Difesa diventa una pietra miliare nel ragionamento di Draghi. Come si evince da alcune anticipazioni del rapporto, pubblicate dal portale Politico, “La base industriale della difesa dell’Ue sta affrontando sfide strutturali in termini di capacità, know-how e vantaggio tecnologico. Di conseguenza, l’Ue non sta tenendo il passo con i suoi concorrenti globali”.
Ancora: “Con il ritorno della guerra nel vicinato dell’Ue, l’emergere di nuovi tipi di minacce ibride e un possibile spostamento dell’attenzione geografica e delle esigenze di difesa degli Stati Uniti, l’Ue dovrà assumersi una crescente responsabilità per la propria difesa e sicurezza”.
Le raccomandazioni che emergono dallo studio sono: “principio di preferenza europea per incentivare le soluzioni di difesa europee rispetto ai concorrenti internazionali; la definizione di un modello di governance tra la Commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna e l’Agenzia europea per la difesa; e infine creare una “Autorità per l’industria della difesa” centralizzata per gli acquisti centralizzati per conto dei Paesi dell’Ue”. Tutto cose che al momento l’Europa non sta facendo.

Cina e Usa: minacce all’Unione

E’ stato lo stesso Draghi, in una conferenza svoltasi lo scorso 15 aprile, a spiegare gli errori dell’Europa: “Il fatto è che l’Europa ha avuto un focus sbagliato – dice durante il suo intervento al summit di La Hulpe. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale positiva, dopo tutto, non abbiamo prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività all’estero come una seria questione politica”.

Per l’ex numero uno della Bce, i pericoli maggiori vanno ricercati a Pechino e a Washington: “La Cina mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta (…) minacciando di indebolire le nostre industrie”. E sugli Stati Uniti: “stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini – compresa quella delle aziende europee – mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento”.

L’Europa ha perso tempo e ora deve muoversi velocemente perché se non cambia direzione, “l’Unione è finita”. Non è più il tempo dei veti ma quell’azione.
Speriamo che a Bruxelles lo comprendano.

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