Di destra o di sinistra, moderati ed estremisti, del nord e del sud, i repubblicani dell’intero pianeta si sono trovati finalmente d’accordo almeno su un punto: la vibrante, comune deplorazione dell’incoronazione di re Carlo III. E tutti si chiedono indignati come sia possibile che una nazione moderna come il Regno Unito ancora tolleri- usano proprio questo verbo – un anacronismo come la monarchia. Giro loro la risposta che mi diede qualche anno fa Hugo Vickers, stimatissimo storico dei Windsor: ”Vedi, noi inglesi siamo tipi pragmatici, e ci sembra che un capo dello Stato elettivo ponga più rischi di uno ereditario. Il primo è a tempo, e può essere tentato di usare illecitamente il potere e i segreti di cui dispone quando è in carica per prepararsi un futuro conveniente. Un re non ha questa preoccupazione, e di conseguenza nemmeno la tentazione”.

In verità un re in Inghilterra ha perso da secoli ogni tentazione di potere, che non sia unicamente cerimoniale e di immagine. Non è altro che un simbolo, e da usare anche con parsimonia. Non può rivolgersi ai sudditi se non con il consenso e il permesso del governo. E come scrive Walter Bagehot nel suo classico “La Costituzione Inglese” (1867), “se il Parlamento decreta che gli venga tagliata la testa, il sovrano non può far altro che firmare la sua condanna a morte“. In fatto di taglio di teste regali, peraltro, gli inglesi vantano una certa esperienza. Si tende spesso a scordare che sono stati proprio loro i primi europei a mozzare il capo di un sovrano nel 1649, quel Carlo I (lontano antenato dell’omonimo contemporaneo) colpevole di pratiche assolutiste. Dopo di lui arrivò il dittatore Cromwell: abbastanza per convincere gli inglesi a non riprovarci con una repubblica.

Ma la chiave del sistema politico britannico resta sempre il pragmatismo. Così il regicida Cromwell fu si’ dissepolto e smembrato per ordine di Carlo II rimesso sul trono ma si trattò’ della vendetta di un figlio, e temporanea. Oggi la statua di Cromwell domina la piazza davanti al Parlamento di Westminster, non lontana da quella di un premier novecentesco che fu invece appassionatamente monarchico come Winston Churchill.

È la conferma che le istituzioni inglesi, come scriveva nel Settecento il grande teorico monarchico Edmund Burke, si sono andate formando nei secoli per accumulo. In Francia, osservava Burke, che ovviamente odiava i rivoluzionari, una cerimonia come l’incoronazione non sarebbe mai possibile perché il sistema politico pretende di poggiare solo sulla ragione. In Inghilterra invece è il risultato della successiva stratificazione di valori, credenze, usanze e leggi che assieme hanno costruito l’identità nazionale.

Dubito che queste osservazioni possano persuadere i critici. Ma da repubblicano convinto quale sono, mi chiedo: cos’è più anacronistico? Un monarca che nella più solenne cerimonia del suo regno affida la Spada di Stato a una giovane donna dichiaratamente lesbica o una premier che propone un futuro all’insegna del motto “Dio Patria e famiglia“? Un’incoronazione che ha esaltato differenze e inclusivita’, o una democrazia che vieta perfino di parlare a scuola di identità di genere?
Aggiungeteci che nessuno al mondo produce cerimonie così impeccabilmente sfarzose come la monarchia inglese, e capirete come il successo planetario di pubblico sia assicurato ancora molto a lungo. Anche con benefici effetti miliardari sui forzieri del turismo isolano. E gli inglesi, l’abbiamo visto, sono pragmatici…

Antonio Caprarica

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