Il principio di eguaglianza contro la discrezionalità politica
Il reato di femminicidio e il cortocircuito del governo sulla Convenzione di Istanbul che parla di “persone” (e anche di gender…)

La principale novità del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri è l’introduzione della fattispecie autonoma di reato di femminicidio che, così come strutturata, immette nel sistema penale una distinzione fondata sul genere, ed impone un inevitabile confronto con il principio di uguaglianza, oggi non più semplice garanzia di parità dei cittadini dinanzi alla legge, ma parametro di legittimità di quelle norme che producano discriminazioni ratione subiecti.
Il delitto di adulterio
Il continuo confronto con il principio di uguaglianza ha prodotto non pochi risultati nel corso degli anni: dal codice del 1930, d’altronde, non potevano che essere via via espunte tutte quelle disposizioni discriminatorie perché fondate su motivi di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali. Alla fine degli anni ’60 si pone, tra gli altri, il tema della compatibilità del delitto di adulterio di cui all’art. 559 c.p. con i princìpi costituzionali, poiché all’epoca si puniva la moglie adultera e non si attribuiva rilevanza ad una identica condotta del marito. Secondo chi al tempo sollevò la questione di legittimità costituzionale, “il compito del legislatore è quello di rimuovere quegli ostacoli che, fondandosi su apparenti concezioni diffuse nella collettività, vengono frapposti alla eguale considerazione giuridica dell’uomo e della donna rispetto a fatti di identica natura”.
Il delitto è stato espunto dall’ordinamento con sentenza n. 126 del 16 dicembre 1968 della Corte Costituzionale: “La discriminazione fatta in proposito dall’attuale legge penale viola il principio di eguaglianza fra coniugi” e quest’ultimo non è sacrificabile in virtù di una data politica legislativa. Per usare ancora le parole del giudice delle leggi (sentenza n. 127/1968), “il legislatore finisce con l’ammettere che l’adulterio del marito possa non costituire ingiuria alla moglie e col collegare ad un fatto obiettivamente identico conseguenze diverse a seconda che esso sia commesso dall’uomo o dalla donna”.
La grande svolta…
Oggi torna sotto diversa forma ed a parti invertite il tema del genere. Il Governo italiano si fregia di quella che secondo il Ministro Nordio “da un punto di vista dogmatico, oltre che da un punto di vista ovviamente etico e sociale, costituisce una grande svolta”. Si legge nel comunicato stampa che “l’intervento si inserisce anche nel quadro degli obblighi assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul e nel solco delle linee operative disegnate dalla nuova direttiva (UE) 1385/2024 in materia di violenza contro le donne, nonché delle direttive in materia di tutela delle vittime di reato”. La Convenzione di Istanbul, sottoscritta dall’Italia nel 2012, si prefigge validi obiettivi: prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne, tutelandone le vittime; promuovere la parità tra i sessi; predisporre un quadro di politiche e misure di protezione ed assistenza verso tutte le vittime di violenza; promuovere a tali fini la cooperazione internazionale e gli approcci integrati tra le organizzazioni e le autorità incaricate dell’applicazione della normativa.
Cosa dice davvero la Convenzione di Istanbul
Visto il richiamo del Governo a tale Convenzione (ed alle direttive del medesimo tenore e contenuto che ne sono seguite) ci aspetteremmo di trovarvi un reato di femminicidio. Eppure, a ben guardare, la Convenzione dopo queste premesse individua il destinatario della tutela con una parola e una sola: “Persona”. Nessun accenno ad omicidi legati al genere: tra le condotte che la Convenzione auspica trovino sanzione penale vi sono alcuni reati come lo stalking, le minacce, la violenza fisica e la violenza sessuale, tutti individuati come meritevoli di punizione quali comportamenti violenti (fisicamente o psicologicamente) nei confronti di una “persona”.
Inutile dire, poi, che lo strumento penale è solo una delle possibili soluzioni prospettate. Ce ne sono molte altre, certamente efficaci: campagne di sensibilizzazione, programmi scolastici “su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali”, formazione di figure professionali ad hoc, “programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali”, case rifugio, linee telefoniche di sostegno, servizi di supporto specializzati e quant’altro. Certo è che solo lo strumento penale è a costo zero.
Al tempo della ratifica, il Presidente turco Erdoğan si oppose, sostenendo che “normalizzasse l’omosessualità” proprio perché non limitava la tutela alle “donne” nell’idea più tradizionale del termine. La Turchia uscì dalla Convenzione nel 2021. Noi ci siamo andati vicini. Il Governo che oggi sventola trionfante quella Carta da cui ritiene di aver derivato il reato di femminicidio ha in seno alla maggioranza quegli stessi partiti politici che a maggio 2023, al momento di votarla per completare il processo di adesione dell’Unione Europea, si sono tirati indietro. L’astensione degli eurodeputati di Fratelli d’Italia (seguita da quella della Lega) è stata così motivata nel comunicato stampa del 10 maggio 2023: “Nel ribadire il proprio impegno nella lotta alla violenza contro le donne”, il gruppo di FdI esprime “preoccupazione sulle tematiche legate al gender” di fronte ad una Convenzione che rappresenta il “cavallo di Troia per imporre l’agenda Lgbt”. Per il Governo, dunque, genere sì, gender giammai.
© Riproduzione riservata