Trent'anni fa la scomparsa
Il ricordo di Gardini: Raul e Serafino gli inizi dell’avventura
“Voleva convincere i commissari europei sul bioetanolo ma aveva contro la lobby del petrolio”
Sono trascorsi trent’anni dalla tragica morte di Raul Gardini, con cui ho avuto il piacere e l’onore di collaborare agli inizi della mia attività professionale. Gardini mi chiamò a Ravenna per dare vita all’Ufficio Studi del Gruppo Ferruzzi nel 1986. Fu per me una scelta non facile. Perché avrei dovuto abbandonare l’attività di condirettore della rivista “Materie Prime” di Nomisma che era stata co-fondata nel 1981 da me con il mio maestro accademico Alberto Quadrio Curzio, ma anche con il sostegno di Romano Prodi.
La rivista “Materie Prime” aveva diversi sponsor, tra cui il Gruppo Ferruzzi e si creò subito una sintonia ed una complementarità di competenze tra Gardini e me. Ciò fu determinante per la proposta che mi fece Gardini: lui imprenditore innovatore ed io economista con l’angolatura sulla economia reale ed internazionale. Per questo anche Quadrio Curzio, con cui collaboravo intensamente, mi incoraggiò nella mia decisione.
Così accettai, perché mi affascinavano le idee e i progetti che Gardini e suoi più stretti collaboratori stavano portando avanti e fui attratto dalla possibilità di lavorare in un grande gruppo industriale internazionale come la Ferruzzi, dove avrei comunque potuto continuare a fare ricerca economica ad alto livello, in parallelo con la mia attività universitaria, come poi è effettivamente successo fino ad oggi, prima con Ferruzzi-Montedison e poi con la Fondazione Edison.
Ricordare Gardini è, a mio avviso, molto importante. Non solo per tributare un omaggio alla memoria di un grande uomo. Ma anche per non perdere il “filo della storia”, di quella storia del nostro Paese e della sua economia i cui contorni spesso sembrano confondersi nel tempo. Per capire chi è stato Gardini occorre innanzitutto capire chi è stato prima di lui Serafino Ferruzzi, il fondatore del Gruppo, la cui figlia Idina era moglie di Gardini. Il “dottor” Ferruzzi fu, come Enrico Mattei nell’energia, un uomo di grande intraprendenza, capace di rendere l’Italia del Secondo Dopoguerra indipendente per i cereali e la soia dalle grandi multinazionali del settore. Ferruzzi sfidò le società di trading americane costruendo propri silos per i cereali sul Mississippi. Si diversificò geograficamente negli approvvigionamenti andando a comprare le materie prime agricole anche dalle cooperative argentine, si dotò di una propria flotta per trasportare le derrate in Italia, acquistò immensi possedimenti terrieri negli Stati Uniti e in Sudamerica.
Divenne così importante ed autorevole nel mondo del commercio mondiale dei prodotti agricoli che quando egli arrivava alla Borsa dei cereali di Chicago le contrattazioni venivano temporaneamente interrotte per tributargli un deferente saluto. Prima di morire in un incidente aereo in una notte nebbiosa a Forlì mentre stava tornando a casa a Ravenna col suo jet, Serafino Ferruzzi aveva accumulato uno dei più importanti patrimoni d’Italia, stimato da Cesare Peruzzi in un articolo su “Il Mondo” del febbraio 1980 in circa 3 mila miliardi di lire, ed era riuscito a comprare dal cavalier Attilio Monti l’Eridania, la principale società italiana produttrice di zucchero. Furono così create le solide basi per lo sviluppo agro-industriale del Gruppo Ferruzzi che fu poi portato avanti dopo la sua scomparsa dal genero Raul Gardini.
La storia di Raul Gardini è certamente più nota di quella di Serafino Ferruzzi ma anch’essa è conosciuta solo in parte. Ed è probabilmente conosciuta più per le tragiche vicende finali di Enimont e le imprese veliche in Coppa America che non per il ruolo che Gardini ha avuto nell’industria italiana e mondiale. Ho avuto la fortuna di condividere con Gardini gli anni di lavoro che credo siano stati per lui i più belli: anni emozionanti e travolgenti, ma ancora sereni, diversamente da quelli successivi dell’avventura tormentata nella chimica, che gli avrebbe riservato fama ma anche tante amarezze. Un periodo, quello centrale degli anni ‘80, in cui Gardini era tutto proiettato verso il futuro ed era circondato da uomini fidati: dirigenti storici che aveva “ereditato” dal suocero Serafino ed altri emergenti, come Renato Picco, a capo dell’Eridania. La Ferruzzi a quell’epoca era veramente una grande squadra di manager preparati, chi a capo del trading, chi degli olii, chi dello zucchero, chi del calcestruzzo, chi delle navi, chi dei silos: tutti compatti attorno a Gardini. Una squadra che lo aiutò molto a muovere i suoi primi passi da leader, nel solco di Serafino.
Inoltre, era entrato a far parte dei vertici anche Mauro De André, fratello del noto cantautore, che era diventato l’avvocato del Gruppo, della famiglia Ferruzzi e di Gardini. Un uomo di straordinaria professionalità, De André, un autentico baluardo per la Ferruzzi. Forse, se non fosse morto prematuramente, avrebbe saputo consigliare Gardini in taluni successivi momenti difficili della sua vita e la storia della Ferruzzi stessa sarebbe andata diversamente.
Lavoravo con Gardini nell’ufficio che egli aveva posto a piano terra nella sua casa, a Palazzo Prandi a Ravenna, in via Massimo d’Azeglio, assieme a Carlo Sama, suo più stretto assistente, con un mio giovane collaboratore e due segretarie. Tutti in un unico stanzone. Dietro l’ufficio, attraverso una serie di piccole porte comunicanti, si accedeva a una stanza privata di Gardini, dove lui amava leggere e riposarsi, circondato da suppellettili di caccia e di vela. Un’altra porta accedeva al giardino sul retro e a una piccola piscina. Un grande scalone portava al primo piano dove talvolta salivamo per il pranzo Gardini, Sama ed io, in compagnia della moglie di Raul, Idina, una donna straordinaria, semplice e molto religiosa, come la sorella Alessandra. Con Idina ho avuto la possibilità di rimanere sempre in contatto anche negli ultimi anni della sua vita, sia per dei consigli sia per organizzare eventi in memoria di Raul.
Il lavoro a Ravenna trascorreva tra Palazzo Prandi e il moderno edificio di vetro che ospitava le sedi della Italiana Oli e Risi e della Calcestruzzi. Con Gardini e Sama ci spostavamo a piedi per le vie della città da un ufficio all’altro. Nel week end cercavo spesso di rientrare a casa, in Piemonte. Viaggiavo tra Ravenna e il lago d’Orta a passo di lumaca con la mia vecchia Renault 4 bianca che raggiungeva appena i 90 all’ora e il lunedì mattina ripartivo alla volta della Romagna prima che albeggiasse, per poter arrivare in tempo in ufficio. Quando Gardini venne a sapere di questi miei faticosi spostamenti mi fece affidare una più confortevole e veloce Mercedes aziendale.
Erano giorni febbrili, quelli del 1986. Gardini voleva convincere i Commissari europei a dar vita al progetto del bioetanolo, alcol da miscelare alla benzina ricavato dalle eccedenze cerealicole europee di quegli anni, che erano enormi e molto costose da mantenere. Ma aveva contro tutta la potente lobby dei petrolieri. Inoltre, Gardini voleva portare la soia in Italia: un altro progetto coraggioso. Da poco la Ferruzzi aveva preso il controllo del primo produttore di zucchero della Francia, la Béghin-Say, di cui Eridania deteneva già una importante partecipazione.
Una operazione difficilissima, quella di scalare un gruppo industriale francese, in cui però Gardini fu aiutato dallo straordinario lavoro di lobbying di un giovanissimo Sergio Cusani, che aveva rapporti consolidati col mondo saccarifero e finanziario transalpino. E ora, dopo quel successo, la Ferruzzi puntava a scalare la British Sugar, con l’appoggio dei bieticoltori inglesi ma con l’opposizione del governo britannico, che aveva più a cuore gli interessi coloniali dello zucchero di canna della Tate&Lyle. L’operazione British Sugar fu l’unica di quegli anni che Gardini non riuscì a portare a termine, forse per non aver tessuto lo stesso paziente lavoro diplomatico che caratterizzò la scalata vincente di Béghin-Say. La sconfitta di British Sugar fu però subito riscattata dall’introduzione della soia in Italia, che invece fu un enorme successo.
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