“Buona Pasqua, prima di tutto. Sono contento per come ho giocato. Conta più la prestazione della vittoria”. Segnatevi queste poche e semplici parole pronunciate sul campo di cemento blu del Master Mille di Miami. Prediamole come l’incipit del romanzo popolare di Jannik Sinner, il ragazzo dai capelli rossi di San Candido, che a ventidue anni ha portato l’Italtennis dove non è mai arrivata da quando esiste il tennis professionistico (1973) e computer e algoritmi determinano la classifica. Non Panatta, non Pietrangeli, neppure Bertolucci né Barazzutti né Zugarelli che pure sono stati i nostri moschettieri. Da ieri è Sinner il numero 2 del mondo ed è chiaro a tutti quelli che ci capiscono un po’ di questo sport antico, affascinante e diabolico che ci resterà il tempo che serve per arrivare poi in cima alla classifica. È lì che Jannik vuole arrivare, lo ha sempre detto: “Io lavoro tanto per arrivare più in alto che posso, per essere il migliore”. E ogni mattina affronta palestra e campo e poi sedute di analisi tattica e poi ancora cesti e allenamenti per arrivare fin lì. “Io mi sento un predestinato a lavorare e se lavori poi i risultati arrivano e non sono mai né un caso né un fatto passeggero” ha detto ieri mentre era ancora in campo, liberato dal cappellino il ciuffo rosso, trovando anche nel lessico misura ed efficacia.

E quindi sì, c’è il palmares: 22 anni, 17 finali, 13 tornei vinti tra cui uno Slam e una Coppa Davis portata in Italia dopo 45 anni, una striscia di 25 vittorie su ventisei disputate dall’inizio dell’anno, posto che il 2023 si era concluso con la finale persa alle Finals contro Djokovic e la Coppa Davis vinta a Malaga e la partita chiave questa volta vinta contro Djokovic.
C’è la tecnica: Sinner è il giocatore più potente sul cemento veloce, nessuno tira forte come lui – ed è questo che mette in soggezione tutti gli avversari – grazie ad una catena cinetica nei movimenti che gli consente di sommare tutte le spinte dalla punta dei piedi alla punta della racchetta. In un anno è migliorato tantissimo, soprattutto al servizio e nella varietà dei colpi. È nato con un rovescio bimane che riesce a tirare da ogni angolo. Ha una mobilità eccezionale per uno alto 1 metro e 88 centimetri e una facilità a pattinare sul terreno dovuta forse agli anni in cui era un campionino sugli sci. Contro Medvedev (n.4 del mondo) e contro Dimitrov (n.9 che aveva battuto Alcaraz in due set) ha giocato due match semplicemente perfetti. Ha messo a segno rovesci lungolinea con gesti atletici che ad occhio nudo sembrano smontare tutti i principi di fisica e invece, visti al rallentatore, ne sono l’esaltazione.

Ma soprattutto Jannik Sinner è il protagonista di un romanzo popolare. È ironico. Domenica pomeriggio, conferenza stampa dopo aver alzato il trofeo, un giornalista americano gli ha chiesto come “ci si sente ad essere il numero 1 del mondo”. Il ragazzo si è fermato con gli occhi, si è guardato intorno e poi ridendo: “Errore non forzato, sono numero 2”. Risate in presenza e a distanza. Ha appena vinto il suo secondo Master Mille (dopo gli slam i tornei più importanti) sorride, ringrazia ma poi pensa subito al torneo che verrà. “Sono contento per come è andata la stagione finora, adesso verrà la terra rossa (dalla prossima settimana con Montecarlo fino a metà giugno con lo slam di Parigi, ndr), una superficie non ideale per me, vedremo come andranno le cose…”. Messaggio neppure troppo indiretto per chi – se e quando l’azzurro dovesse perdere a Montecarlo (dove avrà solo sei giorni per abituarsi al cambio di superficie) ancora peggio a Roma (3-19 maggio) o non fare bene a Parigi – saranno pronti a criticare l’eroe osannato e celebrato in questi ultimi cinque mesi. Roger Federer una sola volta a Parigi. Zero a Roma. È stato e resta the only and the one, il solo e l’unico.

Jannik Sinner è una vera e propria mania che sta affascinando giovani e meno giovani, appassionati e profani. Spuntano attempate signore travestite da carota in ogni angolo del mondo perchè il club dei Carota boys and girls è diventato internazionale in pochi mesi.
Ci sono le sue tante lezioni di etica sul lavoro, sani prìncipi e buona educazione, pochi social “perchè non è vita vera”. Il piacere e il privilegio di impegnarsi e cercare di dare sempre il massimo. “Io ogni mattina mi sveglio e penso che devo andare a lavorare e so che sono fortunato perchè posso farlo nelle migliori condizioni”. C’è il ragazzo d’oro – circa venti milioni vinti solo di montepremi; poi ci sono i brand, solo da Nike prende 15 milioni l’anno – e c’è il ragazzo educato, che pensa agli altri, che sa che il mondo non è il suo campo di gioco ma anzi, inizia proprio lì: “Vengo da una famiglia semplice, i miei lavorano, so bene che lo sport è una cosa e la vita è altro”.

A Miani Sinner è sceso un giorno in campo su una carrozzina insieme ad Alfie Hewett, leggenda del tennis in carrozzina: voleva capire la difficoltà e la fatica di colpire da seduti. A Indian Wells, durante uno scroscio di pioggia, ha evitato che la ragazza-hostess stesse in piedi con l’ombrello per ripararlo e l’ha fatta sedere accanto a sé, due chiacchiere tra ragazzi riprese da tutte le telecamere e diventate virali. “Ma questo Sinner è un signore d’altri tempi” ha detto un giorno la ministra del Lavoro Elvira Calderone che, per sua stessa ammissione, sa molto poco di tennis.
Reduce dal primo slam vinto in carriera in Australia (il primo nella storia del tennis azzurro) si è prestato per tre giorni a conferenze stampa, foto, visite istituzionali con una misura e una educazione inaspettate in un ragazzo di 22 anni. Non tornò subito a casa in quei giorni Sinner perchè “al mio paese c’è stata una tragedia (una famiglia distrutta in un incidente stradale, ndr) e non è il caso che io vada là adesso”.
La retorica è sempre in agguato di fronte a questi fenomeni. Allora possiamo solo ringraziare questo ragazzo, godercelo ed imparare ciascuno quello che può e vuole. E se dovesse perdere talvolta, faccio nostro il suo motto: “Quanto perdo non mi dispero, imparo”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.