I dati
Il ruolo chiave del credito cooperativo: ha arginato la pandemia
La crisi finanziaria del 2008. Poi la crisi dei crediti deteriorati del 2015. Infine la crisi economica provocata dalla pandemia nel 2020. In questi anni il sistema bancario ha dovuto affrontare sfide di enorme portata. Tra i principali protagonisti di questa fase ci sono pure le banche di credito cooperativo. «Mentre i grandi gruppi hanno accentuato la tendenza a prestare alle imprese maggiori e alle pubbliche amministrazioni, le Bcc hanno aumentato gli impieghi alla clientela, specie alle imprese minori».
A ricordarlo durante il convegno “Le Bcc e la sfida della sostenibilità sociale”, tenuto a Rimini la settimana scorsa nell’ambito del congresso dei gruppi bancari cooperativi di First Cisl, la Federazione Italiana Reti dei Servizi del Terziario, è stato Lucio Lamberti, docente di Analisi dei mercati finanziari all’Università San Raffaele. Insomma, il credito cooperativo svolge un ruolo cruciale sui territori. Sia per finanziare la transizione green, sia per sostenere la trasformazione del sistema bancario in direzione della sostenibilità. L’attenzione ai criteri Esg (environmental, social, governance) è diventata infatti un imperativo per il sistema bancario, che sta riformulando la propria strategia con l’obiettivo di favorire una crescita responsabile verso la società e l’ambiente. La capillare presenza delle Bcc nel territorio e la loro attenzione per i centri abitati progressivamente abbandonati dai servizi e per quelle categorie sociali coinvolte in fenomeni di emarginazione spiegano bene l’impegno per la sostenibilità sociale.
«In questi anni assistiamo a una importante desertificazione dei territori, con il progressivo abbandono da parte delle banche. La contrazione del numero degli sportelli bancari ha assunto proporzioni gigantesche. Nel 2015 c’erano 30.480 sportelli, ben 4.438 dei quali erano delle Banche di credito cooperativo (14,6%). Nel 2021 si è registrato un totale di 21.893 sportelli, con un crollo di quasi un terzo (-28,18%). Chi ha retto sono proprio le Bcc che tengono aperti ben 4.149 sportelli (con una incidenza del 19% sul totale)». A parlare è Riccardo Colombani, segretario generale della First Cisl, il sindacato dei lavoratori delle banche, delle assicurazioni, della finanza, della riscossione e delle authority, che riporta i dati dell’ultimo rapporto stilato dall’ufficio studi della Federazione. «Nel 2021 abbiamo assistito a una riduzione di circa 8.300 dipendenti nei primi cinque gruppi bancari italiani, con la chiusura di oltre 1.600 sportelli (-11,6%). I comuni con uno sportello bancario nel 2015 erano 5.727. Nel 2021 sono crollati a 4.903. In questo quadro negativo – “siamo di fronte a una piaga sociale ed economica”, avverte il segretario di First Cisl – risalta la presenza del credito cooperativo.
«Se nel 2015 i comuni serviti solo dalle Bcc erano 578, nel 2021 sono 705», spiega. La buona prova delle Bcc merita di essere segnalata anche per un’altra ragione. «L’Italia è il paese più vecchio d’Europa e le competenze digitali dei più anziani sono scarse. Nel 2020 solo il 19% delle persone tra i 65 e 74 anni – che è proprio la fascia della popolazione che detiene i risparmi – è in grado di usare le tecnologie digitali. È una forma di emarginazione che ha riflessi di carattere economico. Accade così che i risparmi restino sul conto corrente e chi non ha a disposizione uno sportello fisico non è in grado di usarli», conclude sul punto Colombani. In più, a partire dal 2015, le banche hanno dovuto affrontare un’altra grande sfida: quella dei crediti deteriorati, ovvero quei crediti delle banche che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente o del tutto (e la cui riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza sia per l’ammontare dell’esposizione di capitale).
Mentre gli istituti più grandi hanno reagito ripulendo i bilanci con massicce cessioni al mercato privato, le Bcc hanno scelto un’altra strada. «Fin da prima del 2015, il credito cooperativo ha scelto la gestione interna tramite il Fondo Garanzia dei Depositanti, un consorzio privato che ha ben funzionato: il tasso di recupero è stato importante e sono stati addirittura realizzati dei guadagni rispetto al prezzo di acquisto», spiega Colombani. Nel 2015, però, una decisione della Commissione Ue su Tercas, la Cassa di risparmio della provincia di Teramo, equiparò l’intervento a un aiuto di stato. «Da quel momento le sofferenze creditizie sono state oggetto di cessione ad un prezzo più basso che del quale hanno beneficiato dei fondi avvoltoio, affossando alcune realtà bancarie. I crediti deteriorati sono adesso detenuti in parte da soggetti non vigilati e non sappiamo dove sono andati a finire. Alcuni marchi storici italiani sono stati oggetto di passaggi di mano che non siamo in grado di mappare», accusa Colombani. Si calcola che circa 250 miliardi di Npl (Non Performing Loans) siano ancora in circolazione senza che nessuno sappia bene che cosa avverrà nei prossimi anni. Viceversa, afferma Colombani, «la gestione in house del Fondo si è rivelata più efficiente di quella esternalizzata, perché non grava sulle banche e non affoga imprese e famiglie».
Secondo il segretario generale di First Cisl, «l’approccio europeo costringe le banche a liberarsi del credito, ma esercitare il credito significa gestirne tutte le fasi, non scaricare a prezzi di saldo le sofferenze all’esterno del sistema, in una zona opaca fatta di soggetti non vigilati, che nell’attività di recupero seguono sistemi non sempre ortodossi». In definitiva, l’esperienza di gestione dei crediti deteriorati all’interno del sistema cooperativo – attraverso il Fondo di Garanzia dei Depositanti – può diventare un esempio cui dovrebbe ispirarsi tutto il sistema bancario. «In caso contrario c’è il rischio concreto di innescare forti tensioni sociali e di mettere all’asta spezzoni importanti del nostro tessuto produttivo», conclude Colombani.
L’ultima emergenza che ha travolto il mondo del credito è stata quella pandemica. «Il decreto Cura Italia e Liquidità in vigore a partire dal 17 marzo 2020 fino a oggi è stato indispensabile. Senza avremmo celebrato il de profundis del sistema bancario. L’intervento dello Stato ha consentito di tenere la riduzione del Pil al – 8,9%, in assenza sarebbe crollato al 25%», ricorda Colombani. E aggiunge: «Grazie a questi interventi le banche hanno erogato 223,5 miliardi di euro. Le banche hanno superato il caos organizzativo iniziale causato dalla pressione di circa 2 milioni e 600mila richieste, molte delle quali sotto i 30 mila euro con garanzie statali al 100%. A queste bisogna aggiungere le moratorie sui prestiti per un totale di 270 miliardi di euro». Numeri importanti che hanno messo a dura prova la tenuta del sistema creditizio su tutto il territorio nazionale.
«L’impatto è stato enorme. Oggi bisogna riconoscere lo sforzo delle banche e dei bancari che hanno sempre lavorato, trattandosi di servizi essenziali. Senza di loro avremmo sofferto una debacle sociale», precisa Colombani. Secondo il rapporto di First Cisl, infatti, tutti gli indicatori di produttività del lavoro del 2021 dei primi cinque gruppi evidenziano incrementi rilevanti: il margine primario pro capite aumenta del 6%, mentre le commissioni nette per dipendente balzano del 13,8%. In decisa crescita anche il risultato di gestione per dipendente (+12,4%) così come il prodotto bancario per dipendente (+7,8%). Sono ancora le commissioni, ovvero gli importi spettanti alla banca a fronte di un servizio finanziario reso al cliente, a trainare i conti delle banche.
In generale, i primi cinque gruppi italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper), grazie alla straordinaria crescita delle commissioni nette (+10,1%), registrano un aumento dei proventi operativi del 4,2%. Anche il risparmio gestito cresce di oltre il 10%. «Un aumento così forte della produttività rende necessario affrontare il tema della redistribuzione ai lavoratori: il loro contributo è stato decisivo nonostante le criticità indotte dalla forte contrazione delle reti degli sportelli», avverte Colombani. L’attenzione ai lavoratori insieme con la relazione con i territori e l’inclusione dei risparmiatori con minori competenze digitali sono parametri essenziali. Che possono orientare le banche verso gli standard di sostenibilità sociale e ambientale fissati a livello internazionale.
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