Ripartire dalla persona e dalla comunità. Questa è la strada per ridare speranza e respiro alle nostre stanche e fragili democrazie liberali. Ma non solo. Per immaginare una credibile proposta politica capace di occupare uno spazio che c’è, occorre uscire dall’infatuazione dell’universalismo dei diritti e riappropriarsi di idee come nazione, famiglia e religione.

In primis per toglierne alla retorica di destra l’uso esclusivo riassunto nello slogan “Dio, patria e famiglia”, feticci di un’identità fuori dalla storia che presta il fianco all’eterno e altrettanto vacuo antifascismo di maniera. Poi per rispondere alla deriva delle politiche neoliberiste, alla pervasività del digitale che ormai ha invaso il dominio del reale e dei corpi e a sfide altrettanto urgenti come la gestione dell’immigrazione e i cambiamenti climatici.

Una svolta antropologica

Ha ragione Cerasa sul Foglio nell’accusare di tafazzismo l’ambientalismo ideologico (e non solo quello) della sinistra che oggi dimentica drammi reali come le alluvioni in Emilia-Romagna e Liguria. Bene di certo l’attenzione ai diritti civili, ma non a scapito di quelli sociali e della vita concreta dei cittadini. Questo è il punto. Ma richiede una svolta antropologica e una visione di società non tatcheriana, non fondata sull’individuo o l’identità rivendicata – come nel wokismo – ma sulla persona come essere relazionale che vive, all’interno di un preciso contesto storico, culturale, politico e sociale. L’identità, peraltro, si può costruire solo all’interno di una comunità politica che è un corpo, un’entità e, nello specifico all’interno della comunità di destino, quella nazionale, che è il prodotto di una storia comune.

La nazione però non è quel bene più alto, quella liturgia della “patria invitta”, quell’oggetto di culto che sta tanto a cuore a nazionalisti e reazionari, come non lo è la famiglia. Nondimeno nazione e famiglia restano valoro incancellabili che condizionano, nel bene e nel male, il destino di una persona e il senso di appartenenza di un’intera collettività. Nessun obiettivo e nessun progetto politico si raggiunge senza una comunità politica che gli assicuri risorse adeguate. La nazione, come prospettiva, oggi innegabilmente è in crisi o viene sbandierata alla bisogna per motivi di consenso elettorale. Ma forse – ancora per qualche tempo – rimane l’unica su cui poter contare, insieme a forme di cooperazione internazionale più o meno istituzionalizzate.

Serve una nuova proposta liberale e democratica, che superi quella visione razionalistica e universalistica che non comprende più la necessità delle frontiere in virtù della sua visione di un’economia globale che guarda solo ai continenti in cui si vende e si compra meglio. Un tale liberalismo è ormai incapace di comprendere che la partita sui valori si gioca oggi sul terreno della storia. E che – su questo terreno – è importante rivitalizzare un nuovo senso della patria e il ruolo della religione come elemento fondamentale per la costruzione di una vera comunità, capace di essere fondamento per un reale dialogo comune oltre la retorica del multiculturalismo globale e inevitabile.

Stefano Bettera

Autore

Presidente dell'Unione Buddhista Europea