Tra il retro di San Nazaro in Brolo e il fianco colonnato della Ca’ Granda, che dal dopoguerra è l’Università Statale di Milano, è intromesso un giardinetto che collega un orlo del piazzale al Naviglio ormai ricoperto di Via Francesco Sforza. Pochi alberi, qualche panchina e un modesto riquadro di terra adusta, con erba rada e polverosa meno per la siccità che per l’incuria. In un angolo, sul supporto di una rete metallica, una tana di stracci e cartoni di cui non si curano gli abitanti che ogni giorno van lì a prendere un po’ d’ombra, a passeggiare, a far gironzolare il cane.

Ieri ero uno di quelli. E mentre con la mia cagna mi apprestavo ad aprire il cancello che offre accesso al giardino, un uomo nero e magro, visibilmente alterato, vestito di cenci, si interponeva e mi intimava di non entrare: This is my house! No dogs! (era casa sua, insomma, e non voleva cani). Senza risultato, provavo a spiegargli che era un luogo pubblico, e che avevamo il diritto di passare. Siccome il tipo si faceva minaccioso e appariva bisognoso di cure, decidevo di chiamare la forza pubblica. La quale interveniva facendo il solito: richiesta dei documenti, che il poveraccio rammostrava dopo averli recuperati da quel suo capanno di rifiuti (la sua casa), e l’ordine che smettesse di disturbare e se ne andasse via.

I militari a loro volta provavano a spiegargli che quel posto era pubblico, che lui non poteva impedire alla gente di entrare, che non poteva restare lì. Ma quello, sempre più alterato e tuttavia convintissimo della bontà delle proprie ragioni, reiterava la rivendicazione: “My house! My house! I live here! No dogs!”. La mia cagna ringhiava; cosa che il disgraziato, nel suo vaneggiamento, attribuiva a un ingiustificato disappunto dell’animale per quel proclama (“No dogs”). Infine, strillando come un matto, e sopraffatto dalla propria incapacità di convincere me, i carabinieri e la mia cagna che lui aveva il diritto pregresso di presidiare quel luogo e di riservarlo a sé, ottemperava all’ordine e se ne andava.

Uno dei carabinieri, a missione compiuta, vale a dire quell’allontanamento dopotutto istigato dalla mia telefonata, mi illustrava il quadro: Avvocato, ne abbiamo centinaia al giorno di queste segnalazioni, ma non possiamo fare nulla. È il risultato di tutto il garantismo che c’è in giro…”. Era amaro il frutto di quella legalità ripristinata; e quindi, senza varcare il cancello non più sorvegliato da quell’inquilino derelitto, me ne andavo anche io. Ci ritornerò, indisturbato. Ma sarà difficile non pensare che la mia cagna avrà ricevuto più tutela rispetto a quell’uomo nero cacciato da quell’angolo di un giardinetto spelacchiato, la sua casa.