Il silenzio ambiguo del mondo arabo: oggi guarda a Israele e ha paura del regime iraniano

Da quando il pogrom del 7 ottobre si è sviluppato in quel conflitto regionale che pian piano prende forma – coinvolgendo attori regionali e alleati internazionali – quello che l’ha reso diverso da tutti quelli precedenti nell’area è stato l’atteggiamento ambiguo dei paesi arabi, confinanti con Israele, ex nemici giurati dello Stato ebraico e oggi ufficialmente o ufficiosamente alleati. E, per quanto si faccia sempre finta di ignorarlo, responsabili primi dell’attuale condizione in cui versa il popolo palestinese.

Gli stessi Stati che per anni hanno alimentato il focolaio anti-israeliano, saggiamente poi traslato in anti-sionismo, per poi scoprire che alla fine il vero nemico non era Israele. Non erano gli ebrei, ma quell’Iran che non è arabo ma persiano. Che non è sunnita ma sciita, e ha nella sua natura l’essere impero e dunque la volontà di egemonizzare il Medio Oriente. Non è un caso che il mondo sunnita, alla notizia della morte di Hassan Nasrallah, abbia festeggiato quanto – o più – di Israele. L’ex segretario generale di Hezbollah si era guadagnato in Siria la fama di “assassino di bambini”: le sue mani, del resto, grondavano parimenti sangue ebreo, cristiano e islamico. Il mondo musulmano non è un monolite e neanche quello arabo in sé lo è; per un certo lasso di tempo la loro unità è stata garantita dall’essere parte di quella Lega Araba focalizzata a distruggere Israele, ma mai a spendere una sola iniziativa per costituire lo Stato di Palestina.

L’antefatto


D’altronde – all’indomani della risoluzione delle Nazioni Uniti – mentre il 15 maggio 1948 David Ben Gurion sanciva e proclamava la nascita dello Stato di Israele, il mondo arabo univa le sue forze per “buttare a mare” gli ebrei, incitati dal Mufti di Gerusalemme, alleato negli anni del Secondo conflitto mondiale con la Germania nazista. Nessun dei capi arabi pensava a costituire uno Stato palestinese. Il tempo e le sconfitte che Israele ha inferto guerra dopo guerra ai paesi arabi hanno modificato rapporti e relazioni, spingendo i nemici di un tempo a capire che il nemico comune è la Repubblica degli Ayatollah.

Il fondamentalismo


Esiste poi un fattore altrettanto sottovalutato nell’analisi ed è la differenza che sussiste oggi negli attori in campo. L’OLP di un tempo e l’ANP di oggi hanno come perno il partito di Al-Fatah, sono organizzazioni politiche (un tempo terroristiche) ma laiche. Nel caso di Al-Fatah, ispirate persino al socialismo. Hamas ed Hezbollah sono milizie islamiste e hanno dunque spostato il terreno dello scontro da un piano politico-etnico a un piano etnico-religioso fomentando il fondamentalismo islamico, bestia nera dei paesi arabi dal Nord Africa al Medio Oriente. Fondamentalismo che Teheran alimenta e che le monarchie del Golfo hanno per decenni finanziato pur di non diventarne vittime.

Giordania


La Giordania è stato il secondo paese dopo l’Egitto a porre fine alle ostilità – due anni dopo lo storico accordo tra Rabin e Arafat – con Israele nel 1994 (l’Egitto nel 1979). Da allora, vista anche la forte alleanza con gli Stati Uniti, il governo di Amman è divenuto una forza alleata di Israele. E non è un caso che, in entrambi gli attacchi dell’Iran al territorio israeliano, i giordani abbiano intercettato droni e missili dei Pasdaran. Ovviamente non sono mancate le critiche a Israele, con tanto di gelo diplomatico per la questione di Gaza.

Arabia Saudita


L’Arabia Saudita è il convitato di pietra degli “Accordi di Abramo”, siglati il 13 agosto 2020 alla Casa Bianca, benedetti da Donald Trump, segnando la normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Da quel giorno è iniziato il lavoro diplomatico per arrivare alla firma con l’Arabia Saudita, data per imminente e rallentata proprio dalla reazione israeliana al massacro del 7 ottobre. Il “rapporto nell’ombra” Israele con i Sauditi lo ha mantenuto e accresciuto nell’attesa che i tempi fossero maturi per rendere l’alleanza ufficiale. Alleanza “ufficiosa” e sintonia che si è palesata nel momento in cui l’Iran ha attaccato il territorio di Israele, e il mondo arabo ha voluto mostrare a Teheran e ai suoi alleati da che parte sta. In quel mondo più delle dichiarazioni contano i gesti. E alzarsi in volo per Israele vale più di mille accordi.