“Mi vogliono ammazzare. Signora Lamorgese lei dovrebbe dimettersi” ma “non ha un briciolo di pudore per farlo”. E’ l’attacco del sindaco di Messina, Cateno De Luca, in un video su Facebook dopo la decisione del Consiglio di Stato che ha espresso parere favorevole alla proposta del ministero dell’Interno per l’annullamento della sua ordinanza che avrebbe imposto a “chiunque intende fare ingresso in Sicilia attraverso il Porto di Messina, sia che viaggi a piedi sia che viaggi a bordo di un qualsiasi mezzo di trasporto” l’obbligo di registrarsi su su un sito internet almeno 48 ore prima della partenza e di attendere il rilascio da parte del Comune di Messina del Nulla Osta allo spostamento”.
Il sindaco ha quindi ribadito che l’ordinanza “rimane valida. I nostri controlli attraverso la banca dati li continuiamo a fare. Il ministro vuole bloccarci e metterci il bagaglio. Ma il nostro sistema preventivo per chi entra in Sicilia ha dimostrato di essere un modo scientifico per controllare gli ingressi, cosa che lo Stato non sa fare”.
Dal primo cittadino sono arrivate altre accuse al ministro Lamorgese: “Il ministro non pensa. Lei, Lamorgese, non pensa ma agisce con supponenza di Stato. Sta tentando di uccidere i sindaci come me e la democrazia. Io sono stato eletto dalla comunità, lei no: rappresenta, per quello che mi riguarda, il frutto della peggiore democrazia ed è lì non per un ruolo di cecchinaggio. Il signor ministro non intende occuparsene perchè impegnata a fare la guerra al sindaco De Luca”.
Nelle scorse settimana la titolare del Viminale Lamorgese aveva utilizzato parole durissime contro il sindaco di Messina, che aveva accusato il Ministero di non svolgere i controlli necessari tra i pendolari che attraversano lo stretto quotidianamente per raggiungere la Sicilia. “Proprio in una fase emergenziale in cui dovrebbe prevalere il senso di solidarietà e lo spirito di leale collaborazione, le insistenti espressioni di offesa e di disprezzo, ripetute per giorni davanti ai media da parte del primo cittadino di Messina all’indirizzo del ministero dell’Interno, appaiono inaccettabili, e quindi censurabili sotto il profilo penale, per il rispetto che è dovuto da tutti i cittadini – e a maggior ragione da chi riveste una funzione pubblica anche indossando la fascia tricolore – alle istituzioni repubblicane e ai suoi rappresentanti”.
Per questo il primo cittadino di Messina era stato denunciato per vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate, ovvero in violazione dell’articolo 290 del Codice penale.