Il sindaco d’Italia per la governabilità: il premierato restituisce centralità alla sovranità popolare

Con la codificazione costituzionale dell’elezione diretta del presidente del consiglio si verrebbe a formulare una nuova forma di governo, che chiamerei del “premierato elettivo”. Si tratta di una delle tre ipotesi di riforma della forma di governo, che vengono spesso evocate nel dibattito istituzionale italiano.

Le altre due sono il presidenzialismo e il semipresidenzialismo. Tutte e tre le ipotesi hanno un minimo comune denominatore: l’elezione diretta del vertice istituzionale (capo dello stato o di governo), con conseguente valorizzazione del principio di sovranità popolare, da intendersi come fonte da cui si legittima democraticamente il potere.

Certo, ci sono delle differenze che non sono di poco conto: presidenzialismo vuol dire elezione diretta del capo del governo che è anche capo dello Stato; semipresidenzialismo invece è elezione a suffragio universale del capo dello Stato, che non è capo del governo; premierato vuol dire rafforzamento del capo del governo, legittimato dal voto degli elettori, con un presidente della Repubblica potere neutro e garante costituzionale. Questi sono i punti fermi da cui occorre partire per chiarire meglio alcuni aspetti.

Il problema costituzionale italiano è il governo; non certo il presidente della Repubblica, che funziona benissimo nel suo ruolo di garante. Un governo che non ha mai avuto un presidente del Consiglio che fosse espressione di una scelta e di una volontà elettorale dei cittadini. Questo sistema ha favorito una disaffezione elettorale, perché i cittadini non sono stati messi in condizione di conoscere da chi sarebbero stati governati. Questo sistema ha consentito il formarsi di più governi nella stessa legislatura, addirittura con maggioranze politiche diverse. Questo sistema ha prodotto ancora di più l’ingovernabilità.

Fatta eccezione per il periodo 2001-2006, con il governo presieduto da Silvio Berlusconi, che è durato l’intera legislatura, riconducibile a una forma di governo del premierato non elettivo piuttosto su indicazione degli elettori, attraverso il nome del candidato sulla lista della coalizione e quindi sulla scheda elettorale e soprattutto con il concorso di un sistema elettorale maggioritario, che favorì l’affermarsi di un sistema politico bipolare con i rispettivi leader dei due schieramenti politici candidati alla guida del governo.

Come sappiamo, non è stata un’innovazione istituzionale che ha risolto il problema della legittimazione del governo e della sua vocazione alla governabilità. Quindi si deve salutare con favore e consenso la proposta di riforma costituzionale, presentata dal senatore Renzi, che prevede l’elezione diretta del presidente del consiglio. Ci sono molte e buone ragioni per sostenere convintamente questa riforma. Come quella – mai abbastanza sottolineata – riferita al comportamento, ovvero alle abitudini istituzionali dei cittadini. I quali da trenta anni eleggono direttamente il sindaco nei Comuni (l. n. 81 del 1993) e da oltre venti anni il presidente di Regione (l. cost. n. 1 del 1999, poi ratificata in tutti gli statuti regionali); senza che nessuno abbia messo in dubbio l’efficacia di questo sistema di governo, al punto da volerlo cambiare.

A livello locale e territoriale, infatti, i cittadini votano ed eleggono il capo del governo, insieme a una maggioranza espressione delle forze politiche che lo sostengono, grazie a un sistema elettorale che permette di premiare le liste collegate al candidato vincente. Allora, perché nei governi decentrati c’è elezione diretta del vertice dell’esecutivo e a livello nazionale no? Si tratta di uno strabismo istituzionale, che andrebbe corretto con delle nuove lenti costituzionali. Anche perché appare paradossale attribuire agli elettori il voto per il governo a livello periferico e sottrarglielo, a quegli stessi elettori, a livello centrale.

Non è un automatismo, visto che c’è lì ci deve essere qui; è piuttosto un pieno riconoscimento del ruolo del corpo elettorale, al quale appartiene ed esercita la sovranità popolare, come soggetto responsabile della scelta della rappresentanza politica e di governo.

La proposta di codificare in Costituzione l’elezione diretta del primo ministro ha come obiettivo la governabilità: ovvero governi stabili, che durano l’intero mandato di legislatura e che siano responsabili del loro operato di fronte agli elettori, i quali potranno così decidere se confermare oppure no la fiducia.

Quella del “premierato elettivo” è una forma di governo che punta a rafforzare la figura e il ruolo del capo del governo, il quale sarebbe l’effettivo titolare dell’indirizzo politico con alcune prerogative costituzionali, quali il potere di scioglimento anticipato delle Camere e la revoca dei ministri. E con un presidente della Repubblica, immutato nel suo ruolo e nelle sue prerogative, quale potere neutro e garante della costituzione. Il capo del governo dovrebbe essere sostenuto da una maggioranza parlamentare, espressione di un sistema elettorale che premia, con meccanismo maggioritario, la lista o le coalizioni di liste che sostengono il candidato primo ministro.

Ed eventualmente, ma non necessariamente, con la clausola, già presente a livello locale e regionale, del cd. simul stabunt simul cadent, e cioè che governo e parlamento nascono e cadono insieme. Pertanto se le Camere sfiduciano il governo si autosciolgono, in modo che si possa tornare alle urne per eleggere nuovamente governo e parlamento, che risultano essere legati e collegati l’uno all’altro, nonché espressione della stessa fonte di legittimazione, cioè il corpo elettorale.

Quindi il governo eletto direttamente dal popolo deve nascere con le elezioni e deve cadere insieme al Parlamento. Deve potere essere un “governo di legislatura”, ovvero destinato a durare tanto quanto la legislatura parlamentare (cinque anni), a identificarsi con essa così come quella si deve identificare con esso. In tal modo si potrà da un lato valorizzare il principio di sovranità popolare, dandogli piena attuazione costituzionale, dall’altro lato si potrà ottenere durata e stabilità governativa anche ai fini di una concretizzazione dell’indirizzo politico.

Oggi ancora più rilevante per potere stare e contare in Europa. Con il “premierato elettivo” avremo un governo scelto dal popolo per un governo di legislatura. Non è presidenzialismo ma neoparlamentarismo. Ovvero un’evoluzione del sistema parlamentare, di cui conserva il rapporto fiduciario, che si sviluppa nel senso di garantire stabilità e restituire centralità alla sovranità popolare. Per avere governabilità senza comprimere la rappresentanza.

Tommaso Edoardo Frosini (Ordinario di diritto pubblico comparato)