Economia
Il sistema fiscale italiano va cambiato, ecco perché

Il dibattito sulla riforma fiscale si è intensificato ma si fa fatica a cogliere un asse portante della discussione. È un problema abbastanza comune quando si discutono temi di grande portata, dato che differenti forze politiche e differenti gruppi di pressione pongono l’accento su differenti obiettivi. Lo scopo di questo articolo è quello di cercare di portare un po’ d’ordine nel dibattito e valutare in modo realistico le prospettive di riforma.
Il principale problema dell’Italia è la bassa crescita. Nel ventennio 1999-2019, prima della pesante recessione risultante dalla pandemia, il reddito pro-capite è rimasto sostanzialmente fermo. Anche se alcuni elementi del quadro internazionale possono aver contribuito alla bassa crescita, il fenomeno appare specificamente italiano. Perfino la Grecia, se si guarda alla crescita sul ventennio, ha fatto meglio di noi (anche se con una volatilità maggiore). Le discussioni sulla riforma fiscale si dovrebbero quindi concentrare su come rendere il sistema tributario più favorevole alla crescita economica, pur essendo coscienti che il sistema fiscale è solo una delle ragioni della stagnazione.
Ci sono buone ragioni per pensare che questo non succederà, come non è successo nel passato. I partiti e i dirigenti politici rispondono agli incentivi e gli incentivi nella politica italiana, almeno dalla riforma elettorale del 2005 (il famigerato porcellum) sono diventati di natura molto più “proporzionalisti”. In concreto, questo significa che gli aspetti di “assalto alla diligenza”, inevitabilmente presente in qualunque atto legislativo di una certa importanza, sono risultati e continueranno a risultare più marcati. È quindi lecito attendersi che uno degli aspetti unanimemente considerato nefando della legislazione tributaria italiana, la sua parcellizzazione e mancanza di organicità, non potrà che peggiorare. È infatti soprattutto mediante l’introduzione di norme speciali, eccezioni ed esenzioni che i partiti, grandi e piccoli, cercano di acquisire consenso e questo meccanismo è particolarmente forte in presenza di governi di coalizione, il risultato naturale dei sistemi proporzionali.
A questo meccanismo generale che si applica in modo abbastanza generale alle democrazie parlamentari occorre aggiungere, per quanto riguarda l’Italia, una cultura economica delle classi dirigenti politiche carente di una robusta comprensione degli effetti sugli incentivi economici che provvedimenti di tassazione e spesa inevitabilmente comportano. Il provvedimento sugli “80 euro” del governo Renzi è un esempio (negativo) da manuale: in un provvedimento di riduzione delle tasse si riuscì a disegnare la norma in modo tale da applicare aliquote marginali superiori all’80% su alcune fasce di reddito (la fascia in cui si applicava il phasing out del bonus), ma gli esempi sono innumerevoli e trasversali a tutti i governi recenti, fino all’ultima sciocchezza del cashback.
Una volta stabilito che è prudente mantenere le aspettative molto basse, a cosa dovremo guardare come segnali positivi nelle discussioni future? Per ‘segnali positivi’ intendiamo una cosa molto chiara e molto semplice: provvedimenti che possono accrescere il potenziale di crescita del paese. La crescita può avvenire o grazie a un aumento dei fattori di produzione (principalmente lavoro e capitale) o grazie a un aumento della produttività dei fattori.
Consideriamo dapprima l’aumento della quantità di lavoro. La principale area di potenziale espansione è il lavoro femminile, dato che l’Italia continua a essere caratterizzata da persistenti bassi tassi di occupazione femminile. Il problema è particolarmente accentuato nel Mezzogiorno e per le donne con basso livello di istruzione. Questo significa che, per favorire l’espansione della forza lavoro, il sistema fiscale dovrebbe incoraggiare gli interventi a favore dei redditi più bassi ed evitare la penalizzazione dei redditi di coppia. Inoltre, in generale, riduzione delle imposte sui redditi a favore dei pensionati risulteranno essere un costo netto per l’erario, mentre riduzioni delle tasse sui redditi da lavoro (se fatte con un minimo di buon senso, quindi non come il “bonus 80 euro”) avranno qualche effetto positivo sull’offerta di lavoro.
Per quanto riguarda l’aumento della produttività, è noto che uno dei problemi italiani è il sottodimensionamento delle imprese. Avranno quindi un effetto favorevole sulla crescita tutti quei provvedimenti che elimineranno ostacoli e svantaggi alla crescita dimensionale delle imprese. Nel recente passato è stato fatto esattamente il contrario (si pensi in particolare alla cosiddetta “flat tax per gli autonomi” del primo governo Conte), ossia si sono dati incentivi alle imprese per far loro mantenere dimensioni ridotte.
Può essere che, magari per caso, alcuni provvedimenti con effetti positivi verranno presi. Il quadro generale tuttavia è probabile resti negativo, la cervellotica politica dei bonus e dei provvedimenti parziali che ha caratterizzato tanto quanto governo quanto il precedente lasciano pochi dubbi sul fatto che gli interventi continueranno ad aggravare la complessità del sistema tributario e a peggiorare gli effetti negativi sugli incentivi alla crescita.
*Professore di Economia,
Stony Brook University di New York
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