Non solo, ma di fronte al quale non c’è più un soggetto universale, non c’è più il lavoro dell’operaio-massa incorporato nel capitale, da cui Marx vedeva nascere la necessità del socialismo; non c’è più la classe, il lavoro ha cambiato forma. La classe operaia esiste ancora, ovviamente, ma come soggetto sociologico, disperatamente impegnata nella difesa del posto di lavoro, e della continuità dell’impresa capitalistica, non esiste più come soggetto politico antagonista.

Ma fuori c’è tanto disordine, masse di esclusi, povertà, lavori precari, vite precarie, annidate negli angoli più disparati del processo di informazione e scambio, più che in quello produttivo, Dunque, tutto un altro scenario. E il capitalismo, lo accennavo, per quanto globalizzato, non è più l’Occidente che si planetarizza, ma è legato in gradi e modi diversi e opposti alle diverse società entro le quali pure agisce, con un rapporto differente con diritti di libertà, politiche, socialità etc. Il mondo globalizzato si scinde in mille mondi. E allora? Che fare di fronte a una realtà – e qui Bertinotti ha ragione – dove le diseguaglianze e i disagi aumentano con ritmo esponenziale?

Dove la salvezza della Vita si lega alla salvezza della Terra? Anche se dobbiamo subito aggiungere, cosa spesso dimenticata, che la globalizzazione ha sollevato dalla fame all’incirca un miliardo di esseri umani, fra Cina, India, Sud-Est asiatico, ha contribuito a mutare quel mondo, basta visitare le grandi megalopoli del Pacifico, e si resta con gli occhi sgranati. E questo non va mai taciuto quando si grida, anche con ragioni fondate, contro il neo-liberismo, mantra della sinistra. Il boomerang del globalismo è sull’Occidente e sulle sue borghesie, perché esso non è più centro dominatore del mondo, in un mondo ora senza centro. Non più capace, l’Occidente, di governarne e dominarne storia e sviluppo. Il capitalismo mai solo finanziario e selvaggio crea anche sviluppo nel mondo, non si gridi allo scandalo, crea grande mercato, grande commercio, tanto lavoro. Va educato, non distrutto.

Che fare allora?  Nessuno dice di star quieti in attesa di non si sa che, o con la celebrazione di ciò che è. Ma non è la parola “socialismo” che può mobilitare e orientare, se le parole devono significare qualcosa. Si lasciano aperti dei fini da raggiungere quando non ci sono più né i fini né i soggetti per renderli operanti. È necessario un altro tipo di lotta per l’uguaglianza, che dimentichi le forme obsolete del passato. In Europa non è più possibile tornare semplicemente al vecchio e nobile Stato sociale, erede di quella storia, l’Europa essendo impegnata in un tema tesissimo, come passare dal livello nazionale a quello sovranazionale, il tema dei prossimi anni: come trasferire la democrazia politica oltre i confini dello Stato, senza farle perdere alcuni connotati liberali e sociali, e come modificarne la forma in questo passaggio. I sovranismi sono il segnale che questo problema è irrisolto.

E allora? Dell’idea che fece nascere il socialismo rimane, voglio dirlo qui, l’impossibilità di fermarsi all’uguaglianza puramente formale davanti alla legge, ma la risposta a questo tema cruciale non sta più nelle coordinate di chi li lo ha fatto nascere. Soprattutto, non c’è più un’altra società all’orizzonte, anche perché quella attuale non ha più molto a che fare con quella tramontata, non è più una società di classe contro classe, cosa che orientava la lotta politica come destino. Per cui non può che diminuire il senso della “fraternità” che era anzitutto solidarietà di classe, di sindacato, di partito, o oggi dovrebbe sopravvivere non si sa come nella frammentazione di interessi e mestieri.

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