Diventare Procuratore Nazionale Antimafia e rimandare in galera l’avvocato Giancarlo Pittelli. Se il dottor Nicola Gratteri riuscisse a raggiungere questi due risultati, avrebbe fatto Bingo. Per raggiungere il primo obiettivo, che è dichiarato, visto che il procuratore di Catanzaro ha presentato domanda al Csm, ha già trovato un’eccellente stampella politica, quella del vero leader dei grillini, Marco Travaglio. Ed essendo il direttore del Fatto anche il capo dei forcaioli militanti, chissà che non possa dargli una mano anche a raggiungere il secondo traguardo, ancora un po’ di galera, possibilmente in un carcere di alta sicurezza, per Giancarlo Pittelli. Il che rappresenta il secondo obiettivo dichiarato del procuratore capo di Catanzaro, visto che lo ha chiesto ufficialmente ai giudici, che devono decidere nei prossimi giorni, e dopo essersi posto di traverso rispetto all’ordinanza che disponeva la detenzione domiciliare dell’avvocato calabrese.
La carezzevole intervista concessa (a fatica, immaginiamo) dal procuratore Gratteri al direttore del Fatto quotidiano pare fatta apposta per tranquillizzare tutti i magistrati reazionari e controriformatori (cioè il 90 per cento dei pm, quasi tutti quelli del Csm e qualche giudice) e quasi chiamarli alla lotta contro i provvedimenti della ministra Cartabia. Non è un caso che l’abile Travaglio abbia messo all’intervista un titolo che pare uno squillo di tromba contro la guardasigilli, perché la sua riforma “… è un’offesa per i pm: così vogliono punirci”. Il non scritto è: votate per me, amici del Csm, e poi penserò io a punire “Lei”, quella lei che Travaglio, la cui misoginia ha raggiunto il diapason nei confronti della ministra, aveva definito “Nostra Signora dell’Impunità”, dopo aver chiamato i suoi provvedimenti “salvaladri” e “schiforma”.
La pena di morte per Pittelli rientra perfettamente in questo quadro di progetti e alleanze. Perché deve essere chiaro che qui stiamo parlando di torture e di una sorta di “fine pena mai” senza processo e senza condanna. L’ordinanza firmata dalle giudici Gilda Danila Romano, Germana Radice e Francesca Loffredo aveva mandato ai domiciliari un Pittelli che non era più quello che il procuratore Gratteri aveva fatto spedire nel carcere speciale di Badu ‘e Carros due anni e mezzo prima, nel dicembre 2019. E sarebbe utile ogni tanto che qualche magistrato assaggiasse un pezzettino di quel che lui fa provare ad altri. Per esempio il pendolo tra prigione e poi casa e poi ancora prigione e ancora casa e il procuratore che ancora chiede carcere. Basterà uno psichiatra a definire la patologia di chi lo subisce, ma anche di chi lo commina?
Il detenuto Pittelli che i giudici avevano voluto incarcerare (per la terza volta) nell’istituto di massima sicurezza di Melfi, in punizione per aver scritto una lettera non consentita, era una persona che aveva deciso di smettere di vivere, aveva messo in atto uno sciopero della fame assoluto, era diventato uno che ormai ingurgitava più psicofarmaci che cibo. Una persona allo stremo, uno che solo la completa libertà potrebbe (forse) far rivivere, anche se non ricondurlo a quello che era, brillante avvocato e abile politico, due anni e mezzo prima.
Ora succede che il procuratore Gratteri non abbia considerato sufficienti gli argomenti (tra cui il trascorrere inesorabile del tempo) con cui le tre giudici di Vibo Valentia hanno ritenuto fossero cessate le esigenze cautelari in carcere. E ha immediatamente presentato ricorso: Pittelli deve stare in galera. Ma perché? Come può pretendere, dottor Gratteri, che non parliamo di persecuzione? Reiterata fino al grottesco, se ci permette. Intanto c’è il sospetto che lei goda di qualche privilegio, dalle parti del tribunale di Catanzaro, visto che tutti gli avvocati calabresi (e italiani) in coro dicono che perché sia fissata l’udienza per questo tipo di ricorsi in genere passano almeno sei mesi. In questo caso è stata fissata l’udienza a tamburo battente, una ventina di giorni. E, come se ciò non bastasse, alla vigilia del 22 marzo, mentre i difensori di Pittelli, Stajano e Contestabile, erano pronti e agguerriti a controbattere le sue argomentazioni, hanno cozzato contro un muro di scartoffie che lei e i suoi colleghi avevate depositato il giorno prima. Documenti e anche video che dovrebbero dimostrare che tipaccio sia questo Pittelli. E anche che tipacci siano alcuni parlamentari e giornalisti che chiedono per lui giustizia e anche che gli si impedisca di porre termine alla propria vita.
E’ chiaro che la procura di Catanzaro sia infastidita dal fatto che l’imputato non sia isolato, nudo e crudo nelle sue mani. Guai se ha degli amici, come quelli che hanno raccolto tremila firme contro la custodia cautelare. Guai se di lui si parla su qualche giornale oppure –dio ce ne scampi- in Parlamento. Così, tra i documenti depositati dal procuratore Gratteri come “aggravanti” della posizione dell’imputato Pittelli Giancarlo, spiccano due fogli di carta giallina, quella degli atti parlamentari. Sono due interrogazioni, con cui alla Camera i deputati Riccardo Magi, Enza Bruno Bossio e Roberto Giachetti, e al Senato Emma Bonino e Matteo Richetti interrogavano il ministro sulle condizioni dell’avvocato calabrese. Ecco la prova della pericolosità del soggetto, lo stesso che aveva scritto una lettera alla ministra Cartabia! E guai a quei politici che si immischieranno ancora nelle questioni di giustizia! Pittelli è mio e lo gestisco io, dice tra le righe la procura di Catanzaro.
Ce ne è anche per Vittorio Sgarbi, il primo parlamentare che era andato a trovare il detenuto nel carcere di Badu ‘e Carros. Oggi reo di aver parlato di Pittelli sulla sua pagina di Facebook e in alcune interviste. Tra parentesi –non ci stancheremo mai di ricordarlo- tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’articolo 274 del codice di procedura penale e il rischio di comportamenti che giustifichino il ricorso alla custodia cautelare in carcere. A che cosa servono quindi questa settanta pagine di documenti? Quale messaggio intende mandare la magistratura requirente di Catanzaro? Non si capisce il senso, per esempio, di veder depositate alcune pagine del Riformista (ci fa piacere che anche qualche toga lo legga), tra cui l’appello del direttore Sansonetti, “Per favore liberate il detenuto Pittelli”. Il quale ha poi inviato proprio a Piero una lettera disperata di addio: “Mi lascio morire contro questa ingiustizia mostruosa”. Poi c’è una prima pagina bellissima, che qualifica il nostro giornale come un unicum. Quella che mostra la prima con l’editoriale del direttore “Dopo l’allarme di Mattarella: aboliamo il carcere per i non condannati”, e di spalla l’appello “Ministra Cartabia vuole che faccia la fine di Gabriele Cagliari?”. La foto di Giancarlo Pittelli posta a simbolo di quell’allarme del Presidente della repubblica e di quella standing ovation che gli aveva tributato l’intero Parlamento, quando aveva parlato di giustizia e delle ingiustizie.
Che importa se una mattina alle nove, mentre il prigioniero Pittelli dormiva con i suoi psicofarmaci e la moglie era andata a fare la spesa, i poliziotti hanno suonato invano alla sua porta e nessuno ha aperto? Lui c’era ed era pronto sull’uscio quando gli agenti sono tornati alle 11. Non era scappato e non c’è pericolo che lo faccia, dottor Gratteri. Ed è così rilevante il fatto che dopo averli scambiati per agenti in borghese, lui abbia risposto a due domandine che con un piccolo agguato, gli hanno posto due giornalisti? E’ per queste inezie che Giancarlo Pittelli deve “marcire in galera” dopo che lei avrà “buttato la chiave”? Dia retta, procuratore Gratteri, lasci perdere, e all’udienza del 5 aprile dica che ha cambiato idea. Anzi liberi del tutto il prigioniero e lo lasci andare al processo senza manette né braccialetti elettronici. Si concentri sulla sua candidatura alla Procura Nazionale Antimafia, magari ce la fa. Ne ha tutti i titoli, e anche l’investitura di Travaglio.