Come fallisce una nazione
Il Superbonus ha creato una voragine enorme nei conti pubblici, “un disastro finanziario senza precedenti” che piaceva a politica, costruttori e ambientalisti
Luciano Capone, esperto di economia, nel libro scritto con Carlo Stagnaro parla del buco causato dal 110%
«Uno dei disastri finanziari più grandi della storia della Repubblica». Non usa mezzi termini Luciano Capone – redattore del Foglio esperto di economia – nel definire il Superbonus edilizio, al quale dedica un libro scritto insieme a Carlo Stagnaro (Superbonus, come fallisce una Nazione, edito da Rubettino e da oggi in tutte le librerie italiane).
«Con 220 miliardi – spiega – avremmo potuto realizzare finalmente quelle riforme strutturali che da tempo sono necessarie per rilanciare il paese. Invece una politica miope e superficiale ha scelto di spenderli per riqualificare le case del 4% degli italiani». Per il giornalista, inoltre, «il Superbonus ha irretito sia la destra che la sinistra: da un lato con il mito del moltiplicatore keynesiano della spesa e dall’altro, invece, con l’illusione del taglio delle tasse grazie al credito di imposta». Il risultato? «Ci troviamo a pagare ancora 40 miliardi di euro l’anno per coprire l’enorme buco nei conti pubblici».
Perché un libro dedicato al Superbonus?
«Stiamo parlando del più grande disastro finanziario della storia della Repubblica. Una spesa di 220 miliardi di euro in tre anni, pari all’11% del Prodotto interno lordo, utilizzata per ristrutturare solo il 4% delle case. Una enormità che non ha pari. Eppure si è agiti in un momento in cui si poteva fare qualcosa di concreto».
A cosa si riferisce?
«Questa misura è stata lanciata durante la pandemia da Covid-19, quando le regole fiscali europee erano state sospese a causa del crollo dell’economia dovuta alla circolazione del virus. Non solo. I mercati erano tranquilli: non si registravano tensioni sui titoli di Stato e c’era una generale predisposizione alla spesa pubblica senza che essa venisse demonizzata dalle nazioni frugali. E l’Italia cosa fa? Dedica tutta la politica industriale a una misura la cui efficacia è stata solo a brevissimo termine, lasciando poi i debiti da pagare al futuro. Senza contare che si poteva intervenire in maniera diversa ad esempio sulla sanità».
Si riferisce al Mes per la sanità?
«Un’altra scelta incomprensibile di chi ha guidato questo paese. Si potevano avere 37 miliardi di euro di finanziamenti a tasso agevolato per ristrutturare e ripensare il sistema sanitario italiano e invece li abbiamo rifiutati, con il risultato che oggi si discute ancora di stanziamenti di risorse alla sanità pubblica. Avevamo la soluzione a portata di mano e abbiamo scelto di ignorarla».
Eppure il Superbonus è stato «apprezzato» in maniera trasversale dalla politica, sia dalla destra che dalla sinistra…
«È davvero incredibile l’abbaglio che è stato preso con questa misura. Dalla sinistra è stata vista come l’intervento keynesiano che risolleva l’economia e si ripaga con il moltiplicatore della spesa: mito evidentemente smentito dalla realtà. E da destra è stato visto come un taglio delle tasse grazie al meccanismo del credito di imposta. Peccato che anche in questo caso è un puro effetto illusorio che svanisce subito dopo aver adottato questo provvedimento. Senza contare che ha creato anche un effetto paradossale».
Quale?
«Il Superbonus ha messo d’accordo costruttori e ambientalisti, due categorie da sempre con interessi contrastanti. Per i primi è stata l’occasione di rilanciare il comparto che da tempo in Italia viveva uno stallo; per i difensori del verde, invece, ha rappresentato la possibilità di arrivare finalmente a una conversione green delle case italiane. Con il senno del poi, i due obiettivi sono stati clamorosamente mancati».
Perché la politica è cosi restia ad ammettere i propri errori?
«Perché manca la capacità di mettere la faccia sulle decisioni assunte. In questo l’unico coerente è Giuseppe Conte che ancora oggi rivendica il Superbonus, anche se aggiunge che lui lo ha gestito per soli 6 mesi. Peccato che dimentica il fatto di averlo reso strutturale e che il suo partito è stata la forza politica di maggioranza relativa in Parlamento. Quindi gli esecutivi successivi poco potevamo fare per limitare il provvedimento senza evitare una crisi di governo».
Sorprende il fallimento delle strutture tecniche: come mai?
«Nel libro dedichiamo un intero capitolo al fallimento delle strutture tecniche: il dipartimento finanza del Mef e la Ragioneria dello Stato. Secondo la nostra opinione c’è stato un cedimento alle pressioni politiche da parte dei tecnici. Ciò che sorprende è che per ogni elargizione erogata in Italia esistono misure di salvaguardia dei conti. Con il Superbonus no: di fronte al bonus più pericoloso sono mancate le salvaguardie tecniche».
Sullo sfondo si staglia il debito pubblico: perché è cosi difficile solo ipotizzare un taglio della spesa?
«L’atteggiamento di “rifiuto” verso il debito pubblico è molto recente. Negli anni Novanta la riduzione del debito pubblico era al centro dei programmi di tutti, sia di sinistra che di destra. Credo che molto abbia pesato l’ingresso nell’Euro che ci ha permesso di avere tassi di interessi bassi, nonostante le varie crisi che si sono create. Il problema è che la politica finge di ignorare l’enorme stock di debito pubblico che rende il paese vulnerabile a ogni vento di crisi.
Molti sostengono che il Superbonus ha favorito la crescita e fatto scendere il debito.
«È solo un effetto illusorio. Il periodo in cui è sceso il debito, del Superbonus vedevi solo l’aspetto positivo di spesa, di gettito fiscale e occupazione. I costi però sono stati spostati in avanti. Pur bloccandolo, ci sono ancora 40 miliardi di euro da pagare ogni anno per i prossimi anni. Una sorta di rata del mutuo che gli italiani stanno pagando per il 4% di case rifatte: un costo abnorme. Teniamo conto che nei prossimi anni il debito pubblico crescerà nonostante la riduzione del deficit».
Cosa pensa della manovra finanziaria?
«È una manovra che stabilizza quello che di provvisorio era stato fatto nei primi due anni. Il grosso è la conferma del taglio delle imposte per famiglie e lavoratori oltre al fatto che il governo si allinea al nuovo Patto di stabilità. Se si guardano brutalmente i numeri, 55 miliardi nel triennio vanno a famiglie e lavoratori. Alle imprese vengono tolti 13 miliardi nel prossimo biennio. Anche in questo caso però assistiamo a un paradosso: i sindacati proclamano lo sciopero e Confindustria applaude al governo. Un paese davvero strano».
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