Collegare il concetto di maternità a un reato è di per sé qualcosa che si fa molta fatica ad accettare. Com’è mai possibile, ovviamente in un contesto di consapevolezza e libertà, considerare penalmente rilevante la nascita di una nuova vita? Eppure, sembra che per molti nel nostro paese sia così. L’impressione è che il controllo sul corpo della donna e della sua autodeterminazione sia una tentazione irresistibile, che non conosce freni e misura. E ora, con l’introduzione del reato universale di maternità surrogata, non conoscerà più neanche confini.

Maternità surrogata, i pregiudizi che ci fanno tornare indietro

Del resto, la questione della natalità e dell’emergenza demografica da sempre è costellata da ingombranti “ma” e “però”. Un’infinita serie di distinguo, travestiti da ottime intenzioni, che produce risultati drammatici e che potremmo riassumere così: famiglie senza figli, e figli senza famiglie. I pregiudizi che opprimono questi temi esercitano, infatti, un impedimento insormontabile per tanti che sarebbero nelle condizioni di procreare in modo alternativo o anche di dare una famiglia a bambini che sono già nati. Le gestazioni per altri, l’omogenitorialità, i riconoscimenti negati. Tutte materie che si risolverebbero in un istante, se solo si ponesse al centro dell’attenzione l’unica cosa che conta: ovvero il miglior interesse di chi viene alla vita, in qualsiasi modo sia stato concepito. Purtroppo al momento non va così, e anzi si compiono preoccupanti passi indietro.

Da figli del peccato a figli di un reato

Un tempo ci si accontentava di affibbiare a degli innocenti bambini marchi infami e indelebili, per esser nati fuori dal matrimonio. Cresciuti nella riprovazione, nati nel peccato. Ora si allunga la piramide della discriminazione aggiungendo un gradino, perché i già nati con maternità surrogata diventeranno figli di un reato. Chi lo dirà a questi bambini dove cercarsi nel Codice penale, per sapere chi sono? Chi glielo spiegherà che, oltre al peccato originale, partono con la zavorra di un reato universale?

Tolto tutto questo, che già non è poco, resta poi l’aspetto più tecnico di una decisione destinata a portare solo problemi. Rendere “universale” un reato, perseguendo un cittadino italiano che attui all’estero una condotta lecita ma vietata in Italia, ha in sé non solo una connotazione persecutoria, ma rappresenterà anche un precedente pericolosissimo. Perché oggi è la maternità, ma domani potrebbe essere altro. E a questo dovremmo pensarci davvero molto bene.

Toccherà capire come si potrà chiedere ad altri Stati, con i quali magari condividiamo consuetudini di amicizia e fior di trattati, di aiutare il nostro il paese, autorizzando e favorendo indagini, per perseguire una condotta per loro del tutto lecita. E non alludo a destinazioni esotiche, magari in mano alla corruzione o all’anarchia, ma anche a vicini partner europei, che dovremo disturbare per portare a compimento le inquisizioni sui figli del reato. Italiani che fuggono dall’Italia per avere un figlio. Inseguiti da una Patria che poi dovrebbero chiamare Madre. Davvero è necessario?