Se chiedo a mia nonna di dirmi di lei, che alle elementari fu la sua maestra, il nome di Laudomia Bonanni risveglia ricordi teneri e subito a riflettersi, sulla sua faccia, c’è una luce densa e un sorriso nuovo. Non sono convinta che il carattere di chi scrive debba somigliare per forza a quanto scrive, ma se così fosse, potremmo immaginare una persona molto diversa dal ritratto dell’insegnante docile e attenta alle regole. Verrebbe in testa piuttosto una donna ruvida, sfoltita d’ogni fronzolo, soprattutto retorico, selvatica, tesa, affilata.

La prima selezione di racconti di Laudomia Bonanni, quattro, diversi per stile e ambientazione ma legati dall’insistenza sui personaggi femminili e dalla grana già riconoscibile d’una voce autentica, è “Il fosso”, per cui l’autrice si aggiudica nel ’48 il premio offerto a un’opera inedita dagli “Amici della domenica”. Segue lo sguardo attento di alcuni illustri colleghi. Dopo essersi lamentato per il proliferare dei vari concorsi letterari, e della leggerezza con cui venivano assemblate le giurie, Montale scrive di lei: “Con un sospiro di sollievo debbo però riconoscere che esistono eccezioni e che questa Laudomia meritava veramente di essere tolta dall’ombra.

Abruzzese alle prime armi, giovane non so quanto, Laudomia Bonanni è lodata, nel verdetto della giuria, per la sua capacità di aggredire i suoi argomenti e riconosciuta immune da cifre della moda impropriamente chiamata neo-realista. Se bene intendo, si intendeva così riconoscerle forza di stile e indipendenza da certi modelli americani. Ma di neo-realismo si può parlare anche per lei, pur senza volerle imporre una etichetta.” Nel ’50, “Il fosso” vincerà anche il Premio Bagutta, mai assegnato a una donna prima di allora. “Aggredire gli argomenti” di cui narra è una definizione che saprà accordarsi pure alle opere successive, e anzi, con un fuoco persino maggiore.

Nel ’60, il romanzo “L’imputata” vince il Premio Viareggio. “L’adultera” si aggiudica il Premio Campiello, e per ben tre volte Bonanni è finalista allo Strega. Nel ’79 concorre al premio con un romanzo, “Il bambino di pietra”, in cui la voce narrante femminile ricostruisce il quadro delle sue nevrosi, il gelo, e tutte le paure, tuffandosi senza difese dentro i lati più bui del proprio Io, il passato, e il presente, una realtà messa a nudo dalle suggestioni d’uno sguardo feroce, nel suo coraggio, e trasparente, nella sua estrema chiarezza. La parabola delle protagoniste, nell’opera di Bonanni, si compie quando si accetta il dolore come ingrediente di ogni esistenza, un’educazione che non muove però al rassegnarsi, moto passivo, cristiano, fasciato da una tempra quasi stoica, ma all’inevitabile lucidità della vita adulta, una consapevolezza figlia della mancanza e delle delusioni, ma anche di un’inconsueta intelligenza emotiva.

Cassandra, la voce de “Il bambino di pietra” fu definita da Bonanni come “la protagonista di tutto ciò che ho scritto”. Strano destino, quello offerto in sorte ad alcuni autori: Laudomia morì all’età di novantaquattro anni, completamente sconosciuta. Venne riscoperta negli anni, ma mai abbastanza, e non con il giusto tributo che si dovrebbe a un talento impetuoso nella felicità del suo stile e così limpido nella riflessione sul sentire umano.

Durante il viaggio notturno nel treno che la porta da Milano a Napoli, Linda, la protagonista de “L’adultera”, riflette sul marito che non ama, sull’amante che vorrebbe diverso, senza paura di perdersi in questi suoi dolori, ma appunto: aggredendoli. “Crepitio sui tegoli, scrosci, un lampo. Di colpo l’oscurità, si staccò un contatto, le immagini si dileguarono. Non fu la scivolata nel sonno, ma un ottenebramento in cui sfuggiva ogni controllo. Dibattendosi per non perdere coscienza, tese la mente per riafferrare il filo dei pensieri”. Il contrario di chi, legittimamente, sfugge all’angoscia trovando riparo nella calma chimica di un ansiolitico, del vino, di qualche droga. È qui il lampo della sua potenza. I personaggi di Bonanni tessono un corpo a corpo con la calca di sequenziali piccole o enormi perdite delle loro vite, decisi e dritti come la penna indomita che li muove sulle pagine.