Il successo dell’individuo indispone le masse
Il testamento di Berlusconi e l’invidia sociale: la caccia al ricco che va punito secondo i populisti
Sembra quasi di sentire echeggiare le parole di George Bernard Shaw, secondo cui la ricchezza è una rapina organizzata. Il successo e ogni trionfo dell’individuo indispongono le masse che cesseranno di trarne spunto e chiederanno, nel nome di una artificiale visione della eguaglianza, che chi si eleva venga in certa misura punito

«Sono sufficientemente anziano da ricordare quando i successi altrui erano considerati ispirazione per molti, e non fonte di invidia». In questa frase dell’economista americano Thomas Sowell risiede una verità ormai quasi eretica. D’altronde basta guardarsi intorno: il testamento di Silvio Berlusconi ha per l’ennesima volta aperto la caccia al ricco, in una cacofonia di voci che oscillano dalla sguaiata canea demagogica a fantasiose richieste di tassazioni punitive.
E proprio le tassazioni punitive sui patrimoni dei soggetti benestanti rappresentano uno dei punti salienti del poderoso volume di Helmut Schoeck, «L’invidia e la società», che la casa editrice Liberilibri ha riportato meritoriamente in libreria, dopo un oblio editoriale che già dice molto sul clima culturale imperante.
Perché a ben vedere si fa gran discorrere di egemonia culturale, e in genere sono chiacchiere fini a loro stesse e questo stesso libro – risalente agli anni settanta e scritto da un sociologo accademico di vasta erudizione colpevole però di non sedere dalla parte «giusta» della barricata politica – ebbe vita editoriale problematica e travagliata. Lo ricordano benissimo Quirino Principe nella godibile introduzione e una postilla dell’editore.
Quando il testo vide la luce, in Italia importato e tradotto dalla Rusconi, il ditino moralisteggiante di una certa sinistra post-marxista scelse o di ignorarlo dolosamente oppure di irriderlo, cercando di farlo a pezzi sul letto di Procuste rappresentato dal confronto con Marcuse, autore che con il testo, le sue tesi e i suoi riferimenti non c’entrava niente.
A Schoeck, che nel libro aveva dato prova di ampia capacità analitica e aveva posto in essere una puntuale ricostruzione fenomenologica dell’invidia passandone in rassegna il senso e il peso nella civiltà umana, con una acuta lettura di filosofi, sociologi, testi religiosi, semantica, folklore popolare, economia, non si perdonava il peggiore tra i peccati morali e politici: aver messo in stato di accusa una certa declinazione dell’eguaglianza.
Perché a ben vedere, come annota in maniera dolente il sociologo tedesco, assai spesso l’eguaglianza cessa di essere principio e si rende arma strumentale per piegare ogni differenza individuale, per omologare, e per punire. Nel nome di un frainteso senso di eguaglianza si sfoga una profonda invidia sociale, la quale spesso alimenta condotte pubbliche, agende politiche, dibattito mediatico e intellettuale.
Sembra quasi di sentire echeggiare le parole di George Bernard Shaw, secondo cui la ricchezza è una rapina organizzata. Il successo e ogni trionfo dell’individuo indispongono le masse che cesseranno di trarne spunto e chiederanno, nel nome di una artificiale e perniciosa visione della eguaglianza, che chi si eleva venga in certa misura punito.
E dato che in società c’è sempre qualcuno che sembra «stare meglio» – sia esso un imprenditore, un attore cinematografico, un magnate della finanza, uno scrittore o un politico – l’invidia si autoalimenta in un circuito vizioso. Non è certo casuale, e su questo la lezione di Schoeck è preziosa e anticipatoria, come lo stesso populismo, nelle sue varie sfumature, si nutra di invidia sociale.
Programmi politici non concepiti per far stare meglio, ma solo per far stare peggio chi ha successo, dando così alle masse urlanti la soddisfazione della punizione quasi divina abbattutasi su chi ha osato elevarsi.
L’invidia sociale è nei fatti una sublimazione dell’odio, e chi la propugna – sia pur in maniera occultata dietro il comodo paravento della presunta eguaglianza – si fa portatore di politiche tese alla costruzione perenne di un nemico. Nemico di classe, di razza, di opinioni e persuasioni religiose o morali o politiche. I totalitarismi novecenteschi d’altronde hanno modellato dispositivi politici di odio che si abbeveravano alla fonte velenosa dell’invidia sociale. Ragione per cui, leggendo con attenzione Schoeck, dovremmo riflettere su quanto possano essere pericolose certe derive.
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